Negli ultimi cinque anni sono stati spesi 1,5 miliardi per le emergenze idrogeologiche (frane, alluvioni, nubifragi) mentre per mitigare il rischio ne sono stati stanziati 2. Ma solo il 10% è stato speso per lavori conclusi. Lo denuncia la Corte dei Conti nella relazione sui "Piani strategici nazionali e Programmi di interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico del Ministero dell’Ambiente". Numeri che, sottolineano i magistrati contabili, confermano «che la politica di tutela del territorio continua a destinare ancora la gran parte delle risorse disponibili, che restano comunque scarse, all’emergenza, anziché ad una effettiva opera di prevenzione». Ma anche queste scarse risorse non vengono spese o lo si fa molto lentamente. Partiamo dagli interventi più vecchi, quelli previsti dalla programmazione 1998-2008. Alla data del 3 marzo 2015, a fronte di un finanziamento complessivo di 2.373 milioni di euro (per 3.188 interventi) sono conclusi 2.664 interventi per un importo complessivo di 1.742 milioni. Risultano, invece, in esecuzione 370 interventi per un importo di 402 milioni e ancora in progettazione 149 lavori per 222 milioni, mentre sono ancora da avviare 5 interventi per un importo di 6 milioni. Ma il dato più preoccupante è che ben il 27% degli interventi, in termini finanziari, non risulta ancora concluso. Per alcune Regioni va poi ancora peggio. La Corte segnala, infatti, che in Calabria, Campania, Molise, Sardegna, Sicilia e Toscana si arriva al 30 mentre il Veneto va oltre il 50. Per quanto riguarda, invece, gli Accordi di programma 2010 risulta che a fronte di un finanziamento complessivo di 2.117 milioni (per 1.621 interventi), sono conclusi 317 interventi per un importo complessivo di 200 milioni. Risultano, invece, in esecuzione 608 interventi per un importo di 787 milioni e ancora in progettazione 489 lavori per 766 milioni, mentre sono ancora da avviare 207 interventi per un importo di 364 milioni. Oltre il 53% degli interventi, in termini di risorse finanziarie assegnate, è ancora da avviare o in progettazione, mentre la quota dei lavori conclusi, sempre in termini di risorse finanziarie, è pari soltanto al 9,47. E anche qui le differenze territoriali sono notevoli. Il Sud registra una quota di quasi il 58% di interventi ancora da avviare o in fase di progettazione mentre al Centro-Nord si arriva a poco più del 48%. E arriviamo all’89,76 in Campania, 88,10 in Friuli-Venezia Giulia, 86,05 in Calabria. «I ritardi – denuncia la Corte – sono in parte anche conseguenza di un non efficiente sistema di controllo e monitoraggio, che non ha prodotto i risultati attesi». Ma soprattutto, insistono i magistrati, «la programmazione delle risorse non si iscrive in un disegno strategico di opere strutturali, ma risulta frammentata in una molteplicità di interventi ». E anche la nomina di commissari straordinari delegati «non si è rivelata efficace» e «solo in limitati casi ha prodotto risultati sufficientemente coerenti con i presupposti di urgenza». Quattro le indicazioni della Corte: superare una politica centrata sull’emergenza; ridefinire la governance degli interventi; riorganizzare il sistema di controllo e monitoraggio; proseguire l’azione di impulso alla funzione di indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio, in particolare con la Struttura di missione che «costituisce una prima risposta da parte del Governo alla necessità di imprimere un’accelerazione nell’attuazione degli interventi ». Infine valutare «l’opportunità di escludere dai vincoli del patto di stabilità interno le spese » di comuni e regioni per la messa in sicurezza.