Dal prossimo settembre le Caritas diocesane attiveranno concretamente il prestito della speranza lanciato dalla Cei in collaborazione con l’Abi. «È uno strumento aggiuntivo pensato per aiutare un maniera concreta circa 30 mila famiglie – ha spiegato l’economo della Conferenza episcopale italiana, il sacerdote Giampietro Fasani, ieri al Lingotto di Torino durante la seconda giornata del convegno nazionale della Caritas – il cui reddito è stato colpito dalla crisi e che hanno almeno tre figli o un componente a carico affetto da disabilità. Per famiglia intendiamo quella costituita sul matrimonio celebrato anche con rito civile o altro culto. Quelle degli immigrati devono avere una residenza di almeno cinque anni». Per don Fasani la crisi sta colpendo duramente il Paese e la forza dell’impatto non accenna a diminuire, anzi. La cosa preoccupa ovviamente i vescovi italiani che hanno dedicato al tema due dibattiti in altrettanti consigli permanenti e nel loro contatto diretto con il territorio percepiscono il dramma che si sta vivendo in molte case. «La lettura che ha dato la politica della situazione non è corretta – ha aggiunto don Fasani – in realtà migliaia di famiglie si trovano in forti difficoltà per la perdita del posto di lavoro». E alla Caritas «longa manus della Cei», la Chiesa chiede di provvedere. Il fondo è uno strumento in più per categorie definite, consci che il bisogno è più ampio «Ma dando a tutti – ha spiegato – avremmo elargito pochi euro a famiglia. A chi non ha i requisiti, compresi i conviventi, chiediamo alle Caritas di intervenire con gli strumenti diocesani. Noi invece vogliamo creare un fondo di garanzia che consenta alla persona in difficoltà di risollevarsi e chiedere prestiti alle banche a tassi dimezzati, attualmente al 4,5%. Compito delle Caritas sarà segnalare i casi che rispondano ai requisiti, aiutarli nella pratica e poi accompagnarli nella ricerca di un lavoro. Soprattutto dobbiamo sostenere chi non ha mai ricevuto aiuti. Purtroppo chi ha molti figli in media ha oltre 40 anni, età difficile per un reinserimento occupazionale». Quanto all’entità del fondo è di 30 milioni. Non si conoscono ancora gli esiti invece della colletta organizzata dalla Cei nelle parrocchie lo scorso 31 maggio per motivi tecnici. A chi tra i delegati Caritas chiedeva chiarimenti, in particolare sui criteri di selezione degli immigrati e sulla collaborazione con le banche, che hanno diverse responsabilità nella crisi che ha origini finanziarie, Fasani ha ribadito che «per le banche è l’occasione per fare qualcosa per risolvere la crisi». Quanto agli immigrati, ha ammesso che c’è stata una lunga trattativa con gli istituti di credito. «Se un immigrato non stabile perde il lavoro, rientra in patria e il prestito non viene rimborsato». Anche dal Lingotto e stato commentato l’allarme Ocse sulla spesa pensionistica. «Il problema – ha affermato sociologo calabrese Pietro Fantozzi – è che fino al 2000 ci siamo occupati solo di previdenza, cui è destinato il 25% del prodotto interno lordo Di questa cifra, due terzi vanno alla previdenza sociale, il 16% circa alla sanità e nemmeno il 2% all’assistenza sociale. Il nostro Paese va avanti grazie al welfare familistico che si sostituisce allo Stato. Dobbiamo sviluppare in fretta un sistema di assicurazioni private efficace per garantire i più giovani. E intervenire sui salari dei lavoratori dipendenti italiani. Soprattutto le fasce più basse sono oggi le peggio retribuite in Europa, cresce la povertà di chi lavora». In questo quadro compito della Caritas è richiamare il valore della solidarietà. «Dio è morto ogni volta che l’egoismo ha il sopravvento», ha commentato Enzo Bianchi, priore di Bose, ricordando il pericolo più grande della società attuale e invitando i convegnisti ad andare contro corrente. Invito ribadito dal vescovo di Viterbo Lorenzo Chiarinelli, che nella sua relazione pastorale ha indicato tre segni distintivi per i cristiani: cercare l’uomo, amarsi vicendevolmente, camminare nella speranza. Modelli per l’animatore della carità che, ha concluso don Giancarlo Perego, responsabile del centro documentazione Caritas-Migrantes «deve costruire speranza attraverso uno stile di vita che aiuta la comunità ad essere attenta al nuovo, alla diversità, al mondo».