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L'immunologa. Viola: «Contagi in famiglia il vero rischio, dovremo convivere col virus»

Lucia Bellaspiga sabato 31 ottobre 2020

Antonella Viola

Anche le chiusure esigono un metodo scientifico. «Non si può passare di lockdown in lockdown all’infinito, e nemmeno penalizzare i luoghi che non sono fonte di contagio». Che fare, allora, di fronte a cifre ormai fuori controllo? «Dati alla mano, bisogna risalire a quanti malati di Covid la primavera scorsa si sono infettati al ristorante, o dal parrucchiere, sul metrò, al mercato, in palestra o al museo, e agire con chiusure mirate in quei luoghi lasciando aperti gli altri». Anche perché, chiarisce subito Antonella Viola, professore ordinario di Patologia generale all’università di Padova, «questo virus ormai è tra noi e ci resterà. Dobbiamo ragionare come se rimanesse per sempre e puntare a strategie che portino a una situazione accettabile».

A nove mesi dall’esordio della pandemia, che cosa abbiamo imparato dal punto di vista dell’immunologia?
La ricerca ha indagato principalmente su perché tra una persona e l’altra c’è una risposta tanto diversa all’infezione: questa patologia si manifesta con una variabilità incredibile nell’attivazione della reazione immunitaria. Nella maggioranza delle persone, circa il 94%, si attiva una risposta protettiva caratterizzata dalla produzione di anticorpi e dall’attivazione dei linfociti T, che servono a combattere il virus, mentre nel 6% della popolazione si scatena una tempesta infiammatoria molto più forte rispetto agli altri virus che causano polmoniti, con i danni che ben sappiamo.

E ad oggi che cosa ne sappiamo?
Ancora poco. Ciò che emerge è un ruolo importante della genetica: abbiamo visto che una parte dei pazienti gravi presenta una mutazione in una molecola che ha un ruolo antivirale, l’interferone di tipo 1. Un secondo studio ha rilevato un’associazione di maggior rischio in una porzione di geni che si trova sul cromosoma 3, che abbiamo ereditato dai nostri cugini di Neanderthal. Un terzo studio ha identificato nei pazienti maschi gravi degli anticorpi che vanno a bloccare proprio l’interferone di tipo 1, quindi è come se in loro ci fosse una risposta autoimmunitaria che va a stoppare la risposta antivirale. In definitiva deduciamo che esistono due grandi cause di gravità nei pazienti Covid: una predisposizione genetica a bloccare l’interferone, e una predisposizione a produrre molecole infiammatorie. Quest’ultima dipende dallo stato infiammatorio del soggetto, cioè dalla sua età e dalla presenza di altre patologie: per esempio, che gli obesi siano fortemente a rischio di sviluppare un Covid severo dipende dal fatto che sono pazienti già fortemente infiammati, di conseguenza contro il virus sviluppano una risposta eccessiva.

Asintomatici e paucisintomatici (94%) possono contagiare?
Chiariamolo una volta per tutte: gli asintomatici contagiano. Il Sars–Cov2 è così “malvagio” proprio per questo, altrimenti lo avremmo già sconfitto da tempo, sarebbe bastato isolare in casa il 6% con sintomi.

Quanto è mortale rispetto al totale dei positivi?
A livello mondiale la mortalità va dallo 0,5 all’1% dei positivi, apparentemente pochissimo rispetto al 10% della Sars del 2003, ma la Sars infettò solo 10mila persone in tutto il mondo, quindi ne uccise meno di mille. Il vero problema è sempre quanto un virus è contagioso e qual è la percentuale di persone che hanno bisogno di ricovero ospeda-liero, più che la mortalità. L’insieme di queste tre cose fa sì che questa sia una patologia estremamente grave.

Per mesi ci è stato detto che ormai abbiamo i farmaci.
Attualmente l’unica cosa che funziona sono i farmaci a base di cortisone, che aumentano in modo significativo la sopravvivenza nei pazienti gravi. Non esiste altro di cui sia dimostrata l’efficacia. L’eparina serve a evitare la formazione di trombi, ma non abbiamo in questo momento un farmaco specifico contro il Covid. In futuro potrebbero risultare utili gli anticorpi monoclonali, diverse aziende ci stanno lavorando e stiamo aspettando i risultati: se tutto andasse bene, per la primavera potremmo avere un farmaco capace di bloccare l’ingresso del virus nelle nostre cellule, sempre per i pazienti gravi.

Vaccino: realtà o utopia?
Ce ne sono diversi che stanno concludendo la sperimentazione clinica. E’ possibile che per fine anno ci sia la registrazione di uno o due vaccini e quindi che le primissime dosi possano arrivare per l’inizio del prossimo anno: insomma, non sarà la soluzione per la seconda ondata. Prima di vaccinare un numero di persone sufficiente a poter tornare alla vita normale, bisognerà aspettare la fine del 2021, ma se tutto andrà bene: negli animali le sperimentazioni hanno funzionato, i trial clinici di fase 1 e di fase 2 hanno dato ottimi risultati, gli studi di fase 3 dicono – non li abbiamo ancora visti – che diano risultati positivi... Sicuramente uno tra i tanti arriverà.

«I lockdown all’infinito non servono. Adesso bisogna chiudere gli impianti di sci ed eliminare gli sport da contatto. I trasporti pubblici?

A luglio avevamo poche decine di casi in tutta Italia. Chi “assolve” le vacanze estive sostiene che i positivi di oggi non si sono certo infettati in agosto.
La curva dei contagi funziona sempre esponenzialmente, prima non la si vede, poi sale ed esplode. L’inizio di questa risalita sono state proprio le vacanze di agosto, quando abbiamo tutti contribuito a tenere in vita il virus permettendogli di tornare a mordere in autunno. L’errore chiarissimo è stata la riapertura delle discoteche, poi i viaggi, perché molti dei casi li abbiamo importati, e infine traghetti e aerei pienissimi. Da settembre in poi, ha pesato il non aver fatto i controlli nelle città quando tutti siamo tornati e non aver risolto il problema dei trasporti: era necessario far rispettare ancora le regole, invece ci siamo rilassati. Ricordo che il virus non circola da solo, ma con le gambe delle persone.

Ecco com’è Campo de’ fiori a Roma, la sera durante il lockdown - Ansa

Ma allora saremo presto punto a capo... Dopo l’eventuale calo, i casi risaliranno.
Per questo dobbiamo puntare a una strategia di convivenza con il virus che ci consenta una situazione accettabile fino a giugno/ luglio, quando ci penserà il caldo: tracciare le attività veramente rischiose, risolvere immediatamente il problema dei trasporti, far usare la mascherina a tutti, anche a scuola, chiudere gli impianti di sci, eliminare gli sport da contatto e soprattutto cambiare la narrazione: dobbiamo dire alle persone a rischio “proteggetevi da soli”, perché la maggior parte dei contagi avviene in famiglia. Le mascherine sono indispensabili, le ffp2 danno una sicurezza quasi totale, ma certo non le indossiamo in casa: troppi poi si illudono che andare a cena dai vicini non sia pericoloso perché sono amici, come se al virus interessasse. Insomma, se avete più di 70 anni, o ne avete meno ma siete ipertesi, o obesi, o avete il diabete... evitate per ora il pranzo con figli e nipoti o il caffè con l’amico. E poi occorrono urgentemente test antigenici a manetta nelle scuole, negli ospedali, nelle Rsa. Il governo li ha ordinati, spero arrivino presto nelle farmacie così da sveltire enormemente la macchina.

Ha un senso parlare di immunità di gregge?
Sì e no. No, perché lasciar correre il virus liberamente vuol dire il 6% di ricoverati, che mandano in tilt qualsiasi sistema sanitario e causano un 1% di decessi, cioè su 60 milioni di italiani ben 600mila morti. Questo però non vuol dire che non si possa raggiungere in determinate zone una “immunità di comunità”, per esempio nella Bergamasca, colpita duro nella prima fase, dove ora il virus cresce più lentamente (mentre è molto a rischio il Sud). Ma verosimilmente è un’immunità che dura qualche mese.