Calabria. Ponte sullo Stretto, a che punto è il progetto e cosa chiedono i sindaci
I tre fasci di luce che hanno "ricreato" il progetto del Ponte
«Il Ponte? Non lo faranno mai, perché non c’è abbastanza acqua». Sandro Repaci è sindaco di Campo Calabro. Quattromila anime su un pianoro che guarda Messina. Il balcone dello Stretto, méta naturale dei turisti del Ponte, se e quando ci sarà. Perché ha ragione chi dice che una campata sospesa così lunga non si vede dappertutto e che tra Villa San Giovanni e Messina si sta realizzando un’opera epocale. Ma, ad esempio, per fare il cemento serve l’acqua e questa terra in estate viene dissetata dalle autobotti: il dibattito sul futuro infrastrutturale del Paese è fatto anche di piccole cose, che piccole non sono. «Quest’anno abbiamo retto faticosamente - spiega Repaci -, ma quando apriranno i cantieri non ce ne sarà abbastanza. La prenderanno dalla nostra falda? E noi? Senza contare che raddoppierà la popolazione, andranno in crisi gli impianti fognari, il sistema viario andrà in tilt. Me ne faccio poco delle compensazioni che vengono date per il disagio: chiedo lavori preliminari per potenziare la rete idrica, le strade, il patrimonio abitativo...»
Repaci è uno degli amministratori calabresi che frequentano la Biennale dello Stretto, il meeting di architetti che offre nuove visioni urbanistiche e che, manco a farlo apposta, quest’anno discute il rapporto tra le città del futuro e l’acqua. I sindaci sono in allarme da quando si è saputo che la società Stretto di Messina ha consegnato tutta la documentazione richiesta dal governo, integrando 800 elaborati sui 10mila del progetto. E che l’ha fatto in linea con il cronoprogramma dando la sensazione che, sì, questa volta il Ponte lo faranno davvero.
«Fino alla prossima puntata - ironizza il sindaco della città metropolitana di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà -. Noi di fronte alle accelerazioni sul ponte abbiamo un approccio istituzionale, non abbiamo fatto barricate ma abbiamo ribadito la necessità che gli enti locali fossero protagonisti e condividere il metodo di lavoro. Purtroppo le buone intenzioni iniziali del governo si sono sfilacciate, tant'è che il progetto esecutivo ancora manca».
Mentre il Comune ribadisce la contrarietà all'uso di risorse della coesione per questa infrastruttura, però, Roma alimenta la narrazione di un ponte “già fatto” e in Calabria, per contro, si fa notare che gli atti propedeutici sono fermi. Carmelo Versace, vicesindaco di Reggio Calabria, lo dice chiaramente: «Tutta l’attività propedeutica che doveva essere eseguita anche per tranquillizzare le due sponde si è arenata: non sono state messe in atto le procedure per gli espropri e chi abita nelle aree interessate dal progetto non sa se e dove andrà ad abitare tra qualche anno. Ancora non si sa come avverrà la movimentazione terra, che non si è più parlato delle opere complementari, come la statale 106, il collegamento con Gioia Tauro, l’alta velocità, l’alta capacità, le pedemontane, il doppio binario sulla Jonica, la metropolitana di superficie… Si dovrà mettere anche una parola definitiva sul fatto che il ponte possa portare la linea ferroviaria o meno».
Gli fa eco Giusy Caminito, prima cittadina di Villa San Giovanni, dove sorgeranno testa e pilone del ponte: «Non c’è un progetto di cantierizzazione che deve precedere la progettazione esecutiva. Si deve intervenire con opere preliminari sulla pubblica illuminazione, sulla rete idrica, sul depuratore; non dimentichiamo che servono interventi importanti sulla viabilità per fare di Villa lo snodo intermodale tra la Sicilia e l’Europa. Tutto rinviato, perché la legge obiettivo lo permette, mentre il Dl 38/2924 ha stabilito che la progettazione avvenga per fasi costruttive e questo ci fa temere che alla fine consegnino una incompiuta, come è già successo con la variante ferroviaria di Cannitello». Doveva servire a connettere l’alta velocità al Ponte, ne resta un “tubo” di calcestruzzo, uno dei tanti ecomostri della zona. La sindaca teme che il Ponte parta ma non arrivi mai a Messina, lasciando una città-cantiere abbandonata.
Anche la società civile si interroga e gli architetti che frequentano la Biennale in questi giorni appaiono meno pessimisti. Francesca Moraci, che, oltre ad insegnare urbanistica presso l'università di Reggio Calabria, è stata consigliere d'amministrazione di Anas e di Fs e consulente di Parsons, la società che nel progetto del Ponte assiste il general contractor Eurolink, difende il progetto nel metodo - «la narrazione sul ponte non è corretta, non si può continuare a dire che si dovrebbero usare quei soldi per la viabilità ordinaria, visto che i finanziamenti sono legati ai corridoi europei della rete Ten-T e non si potranno usare diversamente» -, ma anche nel merito: «se vogliamo intercettare i flussi commerciali tra Atlantico e Suez dobbiamo inserirci nel “gioco” dei grandi porti di Tangeri e del Pireo e possiamo farlo solo con i porti siciliani e Gioia Tauro, connessi dal ponte». Anche lei però ammette che la percezione locale del progetto è imprescindibile per creare un sistema infrastrutturale gomma-rotaia che stia in piedi e consiglia di lavorare a un piano di area vasta o ad una legge speciale che permetta di finanziare di anno in anno gli investimenti di accompagnamento, logistici e ambientali. Per fare il Ponte, insomma, bisognerà rifare lo Stretto: non mancano solo strade e acquedotti, ma nel sud delle grandi incompiute prima dei piloni è necessario costruire la fiducia.
Un altro architetto calabrese che anima la Biennale, Salvatore Vermiglio è convinto invece che «quando lo Stato decide di fare le cose le fa». Ne sa qualcosa, avendo diretto tre maxi-lotti della Salerno Reggio Calabria, un’opera che sul piano dei ritardi non aveva pari. Anche lui considera la narrazione No Ponte superata. «Nessun dubbio sulla qualità dei progetti, perché oggi nessuno firma un ponte che non sta in piedi; abbiamo tutti i dati storici e scientifici per determinare la resistenza alla fatica degli acciai e le altre variabili». Semmai, il punto debole del progetto rilanciato dal ministro Salvini riguarda il territorio in cui la nuova infrastruttura andrà a inserirsi: «sono anni che noi studiamo le ricadute ambientali e paesaggistiche, conosciamo ogni metro di terra calabrese ma il governo non ci ha mai interpellati» denuncia Ilario Tassone, presidente degli architetti reggini. Commenta Falcomatà: «un progetto che non ascolta la società nasce morto».