Renata Polverini lascia, e lascia col botto. «Consiglio regionale indegno. Noi siamo puliti, lascio con la testa alta, con i malfattori non ho nulla a che fare», rivendica davanti alle telecamere la governatrice del Lazio, ormai quasi ex. Tirata in volto, eppure sollevata, così si presenta in conferenza stampa: «Spero di dormire stanotte, e sono sicura che dormirò», dice subito dopo aver formalizzato in Giunta la sua decisione: «Mi sentivo in gabbia da due anni e mezzo - si sfoga - me ne vado serenamente, resto in carica per le formalizzazioni da fare con il ministro Cancellieri e il presidente Monti». Si presenta con al fianco Luciano Ciocchetti, vicepresidente e leader laziale dell’Udc. E che ormai si andasse in quella direzione lo si era intuito, poco dopo le 19, quando proprio il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini - che aveva personalmente partecipato all’intesa programmatica per il Lazio sancita a suo tempo nel suo studio di presidente della Camera - aveva invocato il ricorso alle urne: «È emerso lo schifo, è inconcepibile che ci si compri un Suv con i soldi pubblici - aveva attaccato il leader centrista -. Mi auguro che Polverini faccia un gesto di dignità e ridia la parola ai cittadini».Quello dell’Udc sembrava il benservito definitivo da parte del principale alleato che per tutta la giornata era parso tentennare. Si era anche esercitato tutto lo stato maggiore del Pdl, Gianni Letta, Maurizio Lupi e Fabrizio Cicchitto ce l’hanno messa tutta, riuniti per tre quarti d’ora con lei alla Camera, per tentare almeno di strapparle una
exit strategy concordata. Ma in realtà la Polverini aveva già deciso, e lo ricorda chiaramente: «Ho avvertito il presidente Napolitano, il presidente Monti e i leader della mia maggioranza». E dunque quello che era stato visto come un benservito, da parte di Casini, era in realtà un attestato di piena condivisione, anticipata, per il gesto che Polverini stava per ufficializzare. Che così stiano realmente le cose lo attestano le parole più grate che il governatore dimissionario usa proprio per l’Udc, «che mi è stata vicino fino alla fine».Accusa invece il Pdl locale, che gli ha reso difficile governare, «per una faida interna», fin da quando «non consegnò le liste». Salva però la dirigenza nazionale, che ha tolto di mezzo «qualche personaggio da operetta. Berlusconi, Alfano, Cicchitto e Lupi mi hanno dato grande dimostrazione di lealtà». Le parole di fuoco sono per il Pd e le opposizioni (il segretario democrat Pier Luigi Bersani resta alla larga dal caso sino a tarda sera, quando si concede un rapido commento: «Le dimissioni le abbiamo innescate noi. Ora ci vuole una legge sui partiti»), per il presidente dei governatori, l’emiliano Vasco Errani «indagato e in carica da quasi 20 anni che ora parla di autoriforma delle Regioni». Preannuncia che «da libera cittadina» racconterà «cose allucinanti» che ha visto. Perché «le ostriche non le ha mangiate solo il Pdl». E denuncia che le dimissioni delle opposizioni nessuno le ha formalizzate: «State sereni e tranquilli, ora vi mando a casa io».