Cdm. Dal governo sì allo stop all’abuso d’ufficio e alla stretta sulle intercettazioni
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (a sinistra) con il ministro della Giustizia Carlo Nordio
Con la prima tranche di misure sulla giustizia varate dal Cdm di ieri si riaccende lo scontro tra Via Arenula e le toghe, ma all’opposizione non tutti storcono il naso e c’è chi, come il Terzo polo, ha già assicurato il proprio appoggio, mentre la cancellazione dell’abuso di ufficio palesa la distanza tra i sindaci del Pd e la linea del Nazareno.
Ancor prima dell’approvazione del ddl, è il ministro Carlo Nordio a dare fuoco alle polveri rispondendo in mattinata alle perplessità espresse mercoledì dal presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, preoccupato per le «criticità» contenute nel provvedimento. Il Guardasigilli parla di un rapporto «patologico» tra magistratura e politica, che spesso «ha ceduto alle pressioni» dei giudici nonostante «il magistrato non possa criticare le leggi».
Ma Nordio si scaglia anche contro il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, che aveva parlato dell’abuso d’ufficio come di un reato “spia” e per questo da mantenere: «Mi stupisce che parli di reato spia. Vorrei insegnargli che un reato o c'è o non c'è, non è che puoi andare a cercare a strascico qualcosa».
Attacchi a cui l’Anm replica nuovamente definendo «assurda» la convinzione del ministro rispetto a una volontà di intervento della magistratura e rivendicando la libertà di criticare l’operato dell’esecutivo. Ma al dissenso si associa anche l’Ordine dei giornalisti, nel timore che sia rischio il diritto dei cittadini a essere informati.
Nordio però tira dritto e anzi nella conferenza stampa che segue il Cdm alza addirittura la posta : «Cambieremo la Costituzione e porteremo a compimento l’idea garantista di uno dei nostri più grandi ministri della Giustizia, il professor Vassalli. Auspico un’opposizione fatta in termini razionali – prosegue – non emotivi. Contiamo di proseguire i lavori entro un termine ragionevole», ma per farlo occorrono modifiche come «la discrezionalità dell’azione penale e la separazione delle carriere», oltre che mettere mano al funzionamento del Csm.
Insomma «un vasto programma che faremo entro la prima metà di questa legislatura», assicura, e che andrà di pari passo con un’ulteriore limitazione dell’uso delle intercettazioni e il potenziamento della tecnologia contro la criminalità organizzata. Per quanto riguarda i timori della stampa, invece, non ci sono rischi perché nel ddl «non c’è nessun bavaglio».
Immancabile un pensiero per Berlusconi, in qualche modo ispiratore della riforma immaginata dalla maggioranza («Spiace che non abbia potuto assistere al primo passaggio per realizzare una giustizia giusta»). Ma anche la rievocazione dell’episodio del famoso invito a comparire inviato al fondatore di Fi e pubblicato dal Corriere della sera mentre l’allora premier presiedeva il G7 di Napoli nel 1994: l’inizio del conflitto tra magistratura e politica, secondo il titolare della Giustizia, «dovuto alla mancanza di vigilanza» dei pm.
In ogni caso le voci a favore dell’esecutivo si alzano anche dall’opposizione e, dopo le aperture dei giorni scorsi, Carlo Calenda sembra aver sciolto ogni riserva: «Certo che lo voteremo – chiarisce il leader di Azione –. Sono riforme di buon senso, molto moderate, equilibrate. È molto difficile non votarle». Discorso simile per l’altra metà del Terzo polo che con il senatore di Iv, Ivan Scalfarotto, “benedice” la «strada giusta» imboccata da Via Arenula. Come detto, però, il provvedimento inguaia Elly Schlein, perché agli amministratori locali dem la cancellazione dell’abuso d’ufficio, e quindi il superamento della cosiddetta “paura della firma”, piace eccome. E così mentre la segretaria, assieme all’ascoltatissimo Sandro Ruotolo, denuncia la volontà dell’esecutivo di abolire «tutti i controlli di legalità», per Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e coordinatore dei sindaci Pd, si tratta di una «battaglia vinta».
Abuso d'ufficio
Reato cancellato. Il governo: molte indagini poche condanne
Il punto di partenza che il governo utilizza per motivare la propria scelta sono dati che si ritengono solidi: nel 2021 sono state 4.745 le iscrizioni nel registro degli indagati, 18 le condanne in primo grado. Il ddl propone dunque l'abrogazione secca dell'articolo 323 del codice penale, secondo il quale commette abuso d’ufficio il pubblico ufficiale che violando leggi e regole di condotta, oppure «omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto», si procura o procura ad altri «un ingiusto vantaggio patrimoniale» e/o danneggia l’interesse di altri. Insomma, usa il suo potere per trarne qualcosa di personale, per soggetti vicini o a svantaggio di chi ne avrebbe diritto. Il governo si difende dall’accusa di smontare un reato-spia di altri ricordando che restano in vigore gli illeciti in materia di falsità e reati come omissione atti di ufficio, corruzione, peculato, concussione. Così come restano le garanzie offerte dalla giustizia amministrativa, dall’Anac, il “whistleblowing” (le denunce anonime). Inoltre, l’esecutivo inserisce un aggravio di punizione se un reato è commesso anche tramite l’abuso di potere. L’esecutivo apre alla possibilità di valutare specifici interventi richiesti dall’Ue «per sanzionare, con formulazioni circoscritte e precise, condotte meritevoli di pena».
Intercettazioni
Non saranno più pubblicabili se non agli atti del processo
Con il disegno di legge varato ieri arriva anche la stretta sulle intercettazioni, da sempre oggetto di attriti tra politica e magistratura. La novità è il divieto di pubblicazione nel caso in cui non siano agli atti del processo, così da tutelare l’immagine di soggetti terzi non coinvolti nelle indagini. Ci sono però eccezioni e il ddl stabilisce che «il divieto di pubblicazione cada solo allorquando il contenuto intercettato sia riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento».
Ma «non può essere rilasciata copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti o e dai loro difensori». Viene inoltre ampliato «l’obbligo di vigilanza del pubblico ministero sulle modalità di redazione dei verbali delle operazioni (i cosiddetti brogliacci)». Si amplia anche «il dovere del giudice di “stralciare” le intercettazioni, includendovi, oltre ai già previsti dati personali sensibili anche quelli relativi a soggetti diversi dalle parti (fatta salva, anche in questo caso, l’ipotesi che essi risultino rilevanti ai fini delle indagini)». Per il ministro Nordio l’obiettivo è «la tutela della dignità e dell'onore delle persone che vengono coinvolte senza saperlo e senza essere interessate nelle intercettazioni telefoniche».
Plusvalenze
Stretta su quelle "fittizie" ma club puniti dopo sentenza definitiva
La classifica del campionato potrà cambiare soltanto una volta, alla fine del percorso della giustizia sportiva, dopo il pronunciamento del Collegio di Garanzia dello Sport. È la norma inserita nel decreto legge sulla Pa, che però ha diversi argomenti sportivi. Il decreto interviene anche sulla plusvalenze “fittizie”. Il governo prova a dare un giro di vite per agire in modo preventivo sulla questione che ha portato alla condanna sportiva della Juve e all’apertura di diverse inchieste penali, prima fra tutte l’indagine «Prisma» di Torino. Il provvedimento agisce sulla tassazione rendendo validi ai fini fiscali i movimenti di cassa e non gli scambi «a specchio» fra le società a costo zero. In pratica la «spalmatura» in 5 anni sarà possibile solo sulla parte in cui c’è stato passaggio di denaro, sul resto si dovranno pagare le tasse al primo anno sull’intera plusvalenza. Tornando alla giustizia sportiva, è stata accantonata l’idea di convogliare tutti i processi sportivi alla fine della stagione agonistica. Si è invece deciso di rendere esecutive le penalizzazioni solo dopo il passaggio al Collegio di garanzia, l’ultimo grado della giustizia sportiva. Intervento anche sui mandati (potranno essere massimi tre) negli organismi sportivi olimpici e paralimpici
Le altre misure
Influenze, custodia cautelare e appelli dei pm. Ecco cosa cambia
Novità anche per il reato di traffico di influenze, il cui ambito di applicazione viene «limitato a condotte particolarmente gravi» e resteranno fuori anche tutti i casi di «millanteria». Sale però la pena minima edittale: da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi.
Per quanto riguarda la custodia cautelare, sarà un collegio di tre giudici, non più un solo magistrato, a deciderne, durante le indagini, l’applicazione. Ma prima di esprimersi dovranno interrogare l’indagato, tranne se ricorre il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o se si tratta di reati gravi commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale.
La novità dei tre giudici non entrerà in vigore subito per le carenze di organico della magistratura, ma tra 2 anni. Intanto si procederà all’assunzione di 250 magistrati e si velocizzeranno i tempi dei concorsi.
Infine l’appello da parte dei pm, che sparirà per le sentenze di assoluzione che riguardano reati di «contenuta gravità». Una strada già tentata in passato con la riforma Pecorella bocciata dalla Corte costituzionale. Potranno essere impugnate dal pm invece le assoluzioni per i reati più gravi, compresi quelli del Codice Rosso.