Verso il voto. Giorgia Meloni parla già da premier e rassicura gli Stati Uniti
Giorgia Meloni su Fox
«Ptrei essere la prima donna premier nella storia d’Italia. Sarebbe per me un grande onore, come lo è stato essere la prima donna a guidare un partito europeo, l’Ecr, ma anche un grande onere, con una guerra in Europa, l’inflazione che sale e il rischio di una nuova ondata di Covid...». In un inglese più che discreto, Giorgia Meloni parla davanti alle telecamere del canale Fox Business. È ospite nel programma «Mornings with Maria Bartiromo» e, davanti alle domande, non si nasconde.
Anzi, risponde con chiarezza, uscendo definitivamente allo scoperto sulla "madre di tutte le questioni" interne alla coalizione: la competizione con Matteo Salvini sulla possibile premiership. La presidente di Fdi ricorda l’intesa raggiunta nel centrodestra: «In base alle regole che ci siamo dati, il primo partito della nostra coalizione può esprimere il candidato premier – puntualizza Meloni –. Secondo i sondaggi. Fratelli d’Italia è al momento in testa e io sono il leader di quel partito. Quindi, se il voto confermerà i sondaggi, potrei essere la prima premier donna. Vedremo».
Nelle stesse ore, da Lampedusa, il segretario leghista continua a sperare che, a dispetto delle rilevazioni sulle intenzioni di voto (che danno Fdi al 24%, il Carroccio intorno al 14% e Fi sull’8%) «nel Centrodestra che vincerà, la Lega abbia un voto in più». In quel caso, dice, «coordinerò il tavolo dei ministri». E le ambizioni di tornare al Viminale? Restano. Ma dopo la frenata di Fdi e Fi, Salvini la prende alla larga: «Anche qualora facessi il premier un occhio particolare alla sicurezza l’avrò sempre. E nella Lega ci sono almeno 20 persone che saprebbero garantire l’ordine pubblico del Paese».
Insomma, seppur nel rispetto della formula unitaria della coalizione, la competizione fra i due leader (in corso da quando Fdi ha scavalcato la Lega nei sondaggi) è arrivata al dunque, con Silvio Berlusconi nel ruolo del patriarca, ma convinto anche lui di portare in campagna elettorale Fi «al 20%».
Sul piano delle proposte, sia Meloni che Salvini hanno le proprie convinzioni e non mancano di ribadirle. In economia, Meloni continua a rifuggire le «promesse che non si possono mantenere». Ma sul tema clou dell’immigrazione, ripete da anni che la questione degli sbarchi «si deve affrontare a monte, col blocco navale», attraverso «una missione concordata con le istituzioni europee per trattare con la Libia la possibilità di fermare i barconi in partenza». Da Lampedusa, invece, il segretario leghista lancia l’idea di un commissario straordinario («Un Figliuolo o un Bertolaso») per la gestione dei flussi.
Ma la corsa verso Palazzo Chigi si gioca pure sulla credibilità internazionale. E l’intervista meloniana su Fox, il suo inglese forbito e rassicurante serve anche a parlare agli interlocutori esteri. Il filoatlantismo in politica estera di un suo eventuale esecutivo, dice da giorni la presidente di Fdi, non è in discussione: «È fondamentale per la nostra nazione dimostrare serietà, lealtà, anche per poter meglio rivendicare i suoi interessi nello scacchiere internazionale».
Anche Salvini sembra seguirla su quella rotta, non menzionando più le simpatie filoputiniane: «Siamo con le potenze libere, democratiche, occidentali. Non è in discussione l’alleanza atlantica».
Una maratona a due che durerà fino al 25 settembre. E nel Carroccio, le tensioni sono alimentate pure da ricostruzioni giornalistiche secondo cui – durante la telefonata fra Meloni e Mario Draghi, nel post dimissioni – il premier le abbia suggerito, su sua richiesta, un paio di ministri competenti per rendere più autorevole una potenziale squadra di governo. Chi? Il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani e Fabio Panetta, membro della Bce. Un gossip che Palazzo Chigi liquida come «una ricostruzione fantasiosa». Mentre Salvini, pur premettendo «non commento i retroscena», sul nome di Cingolani non obietta: «Sarei felice, ha la mia stima». Non è vero ma ci credo, un po’ come ammoniva Eduardo.
E nel Carroccio si continua a chiedere che la coalizione indichi prima del voto i candidati ai ministeri di maggior peso. Ma Fi frena: «Adesso è molto presto – avverte il coordinatore azzurro Antonio Tajani –.Noi indicheremo dei nomi, ma sarà il capo dello Stato ad avere l’ultima parola».