L'orario di lavoro è un parametro vecchio per calcolare la retribuzione. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, mette nel mirino i contratti e suscita l'ira del sindacato. È giunto il momento, sottolinea il responsabile del dicastero di via Flavia durante un convegno alla Luiss, di "immaginare contratti di lavoro che non abbiano come unico riferimento il rapporto ora/lavoro ma misurare l'apporto all'opera". Poletti non ha dubbi: "La misurazione ora/lavoro", insiste, "è un attrezzo vecchio che frena rispetto a elementi di innovazione". Secondo il ministro, per essere "efficaci ed efficienti sul lavoro abbiamo modificato molto i nostri ritmi, i nostri cicli biologici, ma oggi la tecnologia ci consente più libertà". E dunque, ragiona, andrebbe considerato non il lavoro pagato ad ora ma la relazione lavoro/opera. Si tratta, comunque, di un "tema di cultura su cui si deve lavorare", non manca di rilevare Poletti. E anche per questo, conclude, "dobbiamo immaginare una forma di partecipazione dei lavoratori all'impresa", per la condivisione dei risultati aziendali.
Immediata la replica dei sindacati, con annessa bocciatura. "Bisogna smettere di scherzare su come si affrontano i problemi del lavoro", tuona il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. "Bisogna sempre ricordarsi che la maggior parte delle persone fanno un lavoro faticoso, stanno nelle catene di montaggio, negli ospedali, nelle campagne dove il tempo è fondamentale per salvaguardare la loro condizione", rileva la sindacalista. Un invito ad andari con i piedi di piombo che arriva dal segretario confederale della Cisl, Gigi Petteni. "Ho la sensazione che si vogliano far passare per idee di modernità concetti da liberismo sfrenato. Ad ogni buon conto, un ministro del Lavoro non può pensare di affrontare temi del genere con annunci spot ad uso giornalistico", replica il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo. E' di pochi giorni fa la polemica che ha visto al centro altre affermazioni di Poletti relaitve ai giovani italiani che il ministro ha spronato ad essere più rapidi nel prendere la laurea senza badare troppo ai voti. "laurearsi a 28 anni con 110 è inutile, meglio farlo a 21 con 97" aveva detto suscitando una levata di scudi.
Intanto Travet, prof e medici: in piazza per
sollecitare il diritto al rinnovo dei contratti, bloccati da sei
anni. I lavoratori dei servizi e dei settori pubblici si
preparano alla manifestazione nazionale, sabato a Roma, organizzata dai
sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil, da Confsal e Gilda.
In tutto 25 sigle in rappresentanza di scuola, sanità,
funzioni centrali, servizi pubblici locali, sicurezza e
soccorso, università, ricerca, Afam e privato sociale.
Al centro della protesta, la richiesta di un rinnovo
"dignitoso" per gli oltre tre milioni di lavoratori pubblici e
lo stanziamento delle risorse "adeguate" in legge di stabilità,
ben al di là di quella che definiscono la "mancia" messa sul
tavolo dal governo: poco più di 200 milioni di euro per il
pubblico impiego, gli statali in senso stretto, (oltre agli 80
milioni di euro circa stanziati per forze di polizia e carriere
speciali, che portano il totale a 300 milioni di euro). Una
cifra che per i sindacati equivale ad un aumento salariale di
5-8 euro al mese, la loro richiesta è di un aumento medio di 150
euro. I sindacati reclamano risposte e ribadiscono di essere
pronti ad arrivare anche allo sciopero.
In questi sei anni la ricaduta sulle busta paga non è stata
indifferente: tra inflazione e blocco della contrattazione, dal
2010 ad oggi, i lavoratori pubblici hanno perso in media circa
4.800 euro lordi a testa, rilancia la Fp-Cgil, alla vigilia
della protesta.