Ora l’ostacolo maggiore per l’introduzione della pillola abortiva nel nostro Paese sembra proprio la legge che ha permesso l’interruzione volontaria di gravidanza. È infatti sulle procedure di applicazione della Ru486, che appaiono di difficile compatibilità con la legge 194/78, che si incentrerà il lavoro dell’indagine parlamentare decisa dalla Commissione Sanità del Senato. E sabato il ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali Maurizio Sacconi ha ribadito che i lavori saranno comunque conclusi prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del provvedimento dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di autorizzazione all’uso del mifepristone (la Ru486) in ospedale, e che potrebbe essere definitivamente licenziato nella riunione di domani del consiglio di amministrazione. «Siamo in attesa delle indicazioni che darà il Parlamento – ha detto il ministro –. Io stesso sarò audito questa settimana. Dobbiamo verificare la compatibilità della pillola abortiva con la legge 194 che regola l’interruzione volontaria della gravidanza. Quindi verificare se è compatibile con quella legge l’aborto farmacologico, che peraltro non è fatto solo con la Ru486». Si tratta di una convivenza, quella tra legge 194 e aborto chimico, che gli addetti ai lavori vedono difficile. A partire dal ginecologo Filippo Boscia, direttore del Dipartimento materno-infantile della Asl Provincia di Bari e presidente della Società italiana di bioetica e comitati etici (Sibce): «Sono già rimasto stupito per la “proporzionalità traumatica” che sembra essere alla base del ragionamento di chi ritiene l’aborto chimico meno pesante di quello chirurgico, come se l’anticipazione temporale dell’intervento potesse ridurre la sofferenza. In realtà il dolore per la perdita di un figlio non è proporzionale al suo peso in grammi o alla sua lunghezza in centimetri. Ci sono studi psicologici, e ho avuto esperienze professionali che lo comprovano, che mostrano come la situazione dopo un aborto chimico sia devastante: la donna viene lasciata in una situazione di solitudine, oltre al dolore della perdita le resta il senso di responsabilità dell’autosomministrazione del farmaco letale. E in questa condizione vive per tre-quattro giorni assistendo in piena coscienza al proprio aborto». È certo che nei fatti la legge 194 verrà aggirata anche Lucio Romano, ginecologo dell’Università Federico II di Napoli e copresidente di Scienza&Vita: «Tutti sanno che la donna non resterà ricoverata per tutto il tempo necessario a completare l’aborto: firmerà e si assumerà la responsabilità di andare a casa. Come del resto è avvenuto nella stragrande maggioranza dei casi di uso della Ru486 già avvenuti nel nostro Paese». Anzi, aggiunge Romano, «pare proprio che la procedura sia un modo per modificare di fatto la 194, rendendo difficili sia l’assistenza sia la prevenzione». Quanto ai profili di sicurezza del farmaco, sono tutt’altro che assodati: «Gli studi negli ultimi anni hanno messo in evidenza che la Ru486 riduce le difese immunitarie e c’è il sospetto che questa sia una concausa delle morti per l’infezione batterica registrate; inoltre la pillola, attraverso un complesso meccanismo biochimico, favorisce le emorragie». Anche Luciano Bovicelli, docente di Clinica Ginecologica e ostetrica all’Università di Bologna, da non obiettore è del tutto contrario alla Ru486: «Di “dolce” nell’aborto chimico non c’è proprio nulla. Nessuno sa dire quando avverrà l’espulsione del feto dopo l’assunzione del secondo farmaco, la prostaglandina che favorisce la contrazione dell’utero. Proprio per questo è difficile che il tutto avvenga in ospedale, come peraltro la legge 194 richiede». «Una delle ragioni – aggiunge Bovicelli – per cui era nata la legge era dare garanzie di sicurezza alla paziente: a questo scopo la procedura doveva essere svolta in ambiente ospedaliero. È paradossale che ora si creino i presupposti per tornare all’antico, quando tutti i prezzi erano pagati dalla donna. È un passo indietro». Anche Mario Eandi, docente di Farmacologia clinica all’Università di Torino, unico componente della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa a dare parere negativo alla Ru486, sottolinea: «Il problema della sicurezza del farmaco va visto all’interno della 194: i rischi nascono proprio dall’aborto a casa, che la legge non prevede. Siamo in presenza di una tecnica lunga, con efficacia non elevata, che richiede due farmaci: cosa significa in questa condizione fare una valutazione di rischio-beneficio? Questo era uno dei motivi del mio no alla pillola».