Il caso. Identificazioni al corteo per Navalny: «Ma è Mosca o Milano?»
Una ragazza depone una rosa per Navalny a Milano
«Ha ragione il ministro dell’Interno a dire che l’identificazione delle persone rientri nelle facoltà della Polizia, e infatti tutti i presenti hanno dato i documenti, fotografati uno a uno, e fornito l’indirizzo di casa come richiesto. La domanda è perché? Dove siamo, a Mosca o a Milano?» dice Marina Davydova, portavoce dell'associazione Annaviva (in memoria della giornalista russa assassinata Anna Politkovskaja) commentando l’identificazione di una dozzina di persone, russi e italiani da parte della Digos di Milano, domenica pomeriggio mentre deponevano rose e lumini per Alexey Navalny ai giardini Politkovskaja a Milano. «L’identificazione delle persone è un’operazione che si fa normalmente nei dispositivi di sicurezza per il controllo del territorio. - ha detto il ministro dell'Interno Piantedosi -. Mi è stato riferito che il personale che aveva operato non avesse piena consapevolezza». «Se per Piantedosi identificare persone che portano un fiore per Navalny è normale e prendere documenti e generalità non comprime le libertà personali, allora il problema è Piantedosi», ha scritto sui social il senatore Pd Filippo Sensi.
Secondo quanto ricostruito dalla questura di Milano, «l’intervento della pattuglia, trovatasi di fronte ad un gruppo di persone, a fronte delle tre preannunciate, era finalizzato semplicemente a verificare con esattezza l’identità del promotore», mentre «l’identificazione di tutti i presenti» è stata «effettuata d’iniziativa dagli operanti per un eccesso di zelo, senza alcuna finalità di impedire l’esercizio delle libertà dei partecipanti all’iniziativa». I partecipanti hanno parlato di tre agenti in borghese già presenti, che sono rimasti lì per tutto il tempo. Ieri a Genova un’italiana di origini russe è stata identificata sempre dopo aver deposto un mazzo di fiori, una candela e la foto di Alexey Navalny davanti al consolato russo (in quel caso la chiamata è arrivata direttamente dalla sede consolare).
Vicende in cui molti hanno notato somiglianze con quella del loggionista identificato durante la Prima della Scala per aver gridato: «Viva l’Italia antifascista». Secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, l’identificazione di chi manifesta non è un atto neutro, ma pone invece un tema che riguarda la libertà d’espressione: «La prassi generalizzata della richiesta d’identificazione potrebbe avere un effetto intimidatorio e deterrente nei confronti dell’esercizio del diritto di protesta pacifica». «Ci siamo sentiti spaventati, specie i russi, che, infatti non sono voluti venire qui stasera (ieri l’associazione Annaviva è tornata in piazza, ndr). Non hanno cittadinanza italiana e avere problemi con la legge italiana non è la loro intenzione», ha spiegato Davydova.
Piantedosi era in prefettura a Milano per la firma di un accordo tra Regione Lombardia, Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia, e Anci Lombardia. Si tratta del terzo accordo di questo tipo sottoscritto tra Stato e regioni, dopo quelli stipulati con la regione Sicilia e Calabria. Con 3.163 beni confiscati, la Lombardia è quarta a livello nazionale per numero di beni sequestrati alla criminalità organizzata. 1.591 sono destinati agli enti territoriali e al demanio dello Stato, 1.572 sono in gestione e da destinare. La maggior parte si trova in provincia di Milano, che registra più della metà del totale regionale degli immobili confiscati, seguita dalle province di Brescia, Monza-Brianza, Varese, Como e Pavia. L'accordo si propone di valorizzare i beni, mettere a sistema ogni informazione utile ad accelerare i processi di destinazione, assegnazione e utilizzo, creando le migliori condizioni per far incontrare domanda e offerta. Progetti di valorizzazione che nell'ultimo anno hanno registrato un aumento del 140%.
Sempre a margine dell'incontro in prefettura, Piantedosi ha parlato del Cpr di via Corelli di Milano, che è stato commissariato dal Tribunale, in seguito a un'indagine della procura di Milano e dove, anche la scorsa settimana ci sono state proteste con l'intervento delle forze dell'ordine in assetto antisommossa (in un filmato inviato dall'interno della struttura si vedevano due detenuti sdraiati sotto la pioggia senza vestiti e poi uno di loro accasciato a terra, ferito o contuso). Per il ministro dell'Interno «I Cpr molto spesso non sono nelle condizioni migliori proprio perché l'opera di vandalizzazione che viene fatta dalle persone che sono dentro non consente sempre che siano nelle condizioni migliori», ha detto. «Sono luoghi ovviamente di detenzione e di privazione della libertà previsti dalla legge dove si concentrano situazioni anche di comprensibile disperazione da parte di chi ci finisce dentro secondo quelle che però sono delle previsioni di legge», ha aggiunto, negando che vi siano "condizioni disumane disumane" e precisando che esistono "sistemi di monitoraggio continuo".
«Il Ministro dell'Interno Piantedosi entri con me nel Cpr di Milano», ha replicato Paolo Romano, consigliere regionale del Pd, che sabato ha fatto un sopralluogo nel centro di via Corelli, dopo la notizia del pestaggio di un detenuto in seguito alla protesta.
Piantedosi ha quindi parlato della sentenza della Cassazione che ha definito la Libia un porto "non sicuro". «L'Italia non ha mai coordinato e mai consegnato in Libia migranti raccolti in operazioni di soccorso coordinate o direttamente effettuate dall'Italia.
Quella sentenza va letta bene, non va data alle sentenze una lettura di tipo politico o ideologico - ha detto -. Si tratta di una sentenza collocata temporalmente in un momento preciso in cui la Libia aveva determinate condizioni. Le collaborazioni con l'Ue erano finalizzate a portare la Libia a superare le situazione di quel momento. Tra gli elementi importanti di lettura della sentenza - ha spiegato - ci sono dei principi a cui il governo si è sempre attenuto nel regolamentare l'attività di rimpatrio. Chiunque interviene deve coordinarsi con le autorità competenti in materia», ha concluso.