Attualità

INCHIESTA. «Con il Piano rifiuti la Campania diventa discarica nazionale»

Valeria Chianese venerdì 2 marzo 2012
Una immensa discarica di fuoco e di fumo. È la Campania disegnata dal Piano rifiuti stilato dalla Regione e all’esame della commissione Petizioni al Parlamento europeo. Dalle 362 pagine di analisi, dati, cartografie, proiezioni e obiettivi emerge la realtà del «tutto si brucia, poco o niente si ricicla, nulla si recupera». Dove il dispregio per la vita e per l’ambiente culmina in azioni sottomesse a una sola legge: eliminare il massimo possibile di rifiuti industriali speciali e tossici. Nonostante la Regione affermi di essere l’unico territorio al mondo con zero rifiuti industriali e nessuna discarica dedicata, al tempo stesso deve ammettere di non essere in grado, non solo di seguire i flussi delle scorie illegali, ma neppure dei 4 milioni di tonnellate legali. Dietro, afferma Antonio Marfella, tossicologo ed oncologo della Fondazione Istituto Pascale nonché membro dell’Isde-Medici per l’Ambiente, c’è «un piano sofisticato per fare della Campania la piattaforma di smaltimento dei rifiuti industriali che spariscono da questa e dalle altre regioni». Non si spiegano diversamente i quattro impianti di incenerimento previsti dal Piano (compreso quello di Acerra, già in funzione) per bruciare più del 50% dei 2 milioni e 723mila tonnellate di rifiuti urbani prodotti ogni anno in regione, che equivarrebbero a 341 chili di incenerito pro capite, mentre la produzione diminuisce ed è già scesa da 468 a 400 chili annui per abitante. In aggiunta, ne verrà costruito un quinto a Giugliano per eliminare gli 8 milioni di tonnellate di ecoballe - in buona parte di proprietà della Fibe - ancora stoccate sull’area acquistata dallo Stato nel 2010, un’area che, secondo la magistratura, era nella disponibilità, tramite prestanome, del boss dei casalesi Michele Zagaria. Non c’è altra interpretazione se si analizzano anche le varie articolazioni del Piano: un obiettivo di raccolta differenziata a regime al massimo del 50% (contro il 65% minimo previsto dalla normativa italiana già da quest’anno); nessuna politica di riduzione dei rifiuti; il sottodimensionamento degli impianti destinati al trattamento della frazione umida; una previsione di recupero di materiali inferiore al 20%; la decisione di destinare circa la metà del rifiuto organico in uscita dagli impianti di digestione anaerobica (1 milione e 500mila tonnellate su 3 milioni e 500mila prodotte in dieci anni) a essere bruciato insieme alle ecoballe;  8 milioni e 800mila metri cubi di nuove discariche (equivalenti a 12 siti come Chiaiano) da utilizzare nei prossimi dieci anni. La Campania punta in pratica a incenerire 2 milioni e 500mila tonnellate di rifiuti urbani l’anno, esclusi gli inceneritori a biomasse e dei cementifici, quando complessivamente in Italia oggi se ne bruciano 3 milioni e 500mila tonnellate. La portata complessiva dei soli inceneritori di Napoli (previsto per 1.500 tonnellate al giorno) e Acerra (1.500 tonnellate quotidiane) è pari alla portata giornaliera di tutti e nove gli inceneritori che servono l’Austria e maggiore degli otto impianti che servono l’Emilia-Romagna, secondo elaborazioni Ispra su dati Eurostat. Il basso compostaggio annuo (l’1% pro capite) manterrebbe inoltre inalterata la pratica di mescolare i rifiuti industriali all’umido che va in discarica. Mentre, rilevano dal Wwf, «la stima della presenza di plastica è sopravvalutata. Le più recenti pianificazioni in Italia (2011) indicano un valore in percentuale inferiore dai 2 ai 5 punti rispetto a quello del 16,4 assunto dal piano». Un valore che contraddice le ultime analisi condotte in Campania, per cui «l’artificio significa un aumento della quota di rifiuto ad alto tenore calorifico di circa 80mila t/a, pari al fabbisogno di un impianto di combustione di Cdr di 150mila t/a. In altri termini - concludono - con questo escamotage numerico cercano di giustificare un inceneritore in più».Chiara è ora l’origine della penosa e infinita circolarità della crisi dei rifiuti nella regione. La sola discarica di Chiaiano, aperta nel maggio 2008 e chiusa a dicembre 2011, ha raccolto la metà di quanto sversato, nello stesso periodo, nelle 15 discariche del Veneto: 800mila tonnellate contro 1 milione e 600mila. Il magistrato Donato Ceglie, della Procura generale di Napoli, spiega che i flussi dei rifiuti industriali finiscono per l’80% in Campania e per il 20% al Sud malgrado l’elevato numero di persone arrestate (980) negli ultimi anni. Centomila tonnellate l’anno di pneumatici arrivano in Campania e sono il combustibile della Terra dei Fuochi. «Un piano per caricare sui fondi europei e sulla tarsu l’impiantistica di cui la regione non dispone per il trattamento di quei particolari rifiuti», insiste Marfella, che nel michelangiolesco Giudizio Universale vede il modello da seguire: «Recuperare, riciclare e salvare quanto più possibile. Tentare di organizzare la nostra vita e il nostro comportamento per far sì che l’inferno sia sempre più piccolo». In Campania, dove l’aspettativa di vita alla nascita è la più bassa in Italia. «Per l’inferno del Giudizio finale può passare Dio a salvarci - chiosa -.  Per l’inferno degli inceneritori e delle discariche, non lo so».