Proteste nei centri di accoglienza per rifugiati, critiche e preoccupazioni dell’Anci e del Tavolo nazionale asilo. E ancora, 12mila profughi in attesa di permesso umanitario provenienti dal Nordafrica nei centri che fino al 31 dicembre saranno gestiti dalla Protezione civile, ma che dall’1 gennaio dovranno chiudere o cambiare interlocutore. Saranno le Prefetture per due mesi a diventare responsabili dell’assistenza, stipulando nuove convenzioni o rinnovando quelle vigenti. I fondi verranno ricavati secondo il Viminale abbassando la diaria pagata per ogni ospite dai 46 euro attuali a 35, anche se l’Anci, l’associazione dei comuni, sostiene che la cifra calerà drasticamente a 16 euro. Infine termina l’ospitalità negli alberghi. Un clima di incertezza cui si aggiunge la mancanza dell’ordinanza ministeriale che formalizzi il passaggio di mano gestionale e la proroga di due mesi. La fine dell’emergenza Nordafrica è diventata una faccenda complicata e le dimissioni dell’esecutivo non facilitano. Anzitutto c’è il problema del futuro di almeno 12mila profughi (ma secondo altri sarebbero 15mila) che restano in attesa di una protezione umanitaria o del riconoscimento della domanda d’asilo. Molte delle persone subsahariane o asiatiche sbarcate in Italia dopo il 6 aprile 2011 dalla Libia, dove erano immigrate da anni e dalla quale sono fuggiti per la guerra civile, non hanno infatti titolo per chiedere asilo - migliaia di domande sono state rigettate dalle commissioni territoriali – ma non possono neppure tornare in patria. Così il governo ha optato a fine novembre per uscire dall’emergenza per il riesame delle situazioni, concedendo una protezione umanitaria che aiuti a inserirsi o a partire dal Belpaese. Quanto all’integrazione è indubbio che i richiedenti asilo siano stati trattati in maniera eterogenea. La robusta diaria pro capite pagata dal governo non è infatti stata usata da molti per corsi di formazione, come da capitolato, anzi.In una nota diramata ieri alle Caritas diocesane che hanno accolto in 18 mesi di emergenza circa 3mila migranti, la Caritas italiana chiede anzitutto al Viminale una proroga ulteriore fino al 30 marzo per evitare drammi e la tutela dei soggetti vulnerabili.L’organismo pastorale considera comunque definito il quadro generale con la circolare del Ministero dell’Interno del 13 dicembre scorso che amplia l’accoglienza. Ora attende l’ordinanza del Prefetto Gabrielli, capo della Protezione Civile, annunciata per l’inizio del 2013, che dovrebbe definire le modalità operative del ritorno alla gestione ordinaria. Su un altro aspetto la Caritas Italiana e tutti gli altri enti impegnati nell’accoglienza sono d’accordo, il passaggio di gestione al terzo settore è positivo. Più critica invece l’Anci. I comuni, insieme ai prefetti, si trovano infatti tra le mani una patata bollente: avranno il compito di trovare entro dieci giorni strutture non alberghiere che ospitino i profughi per 60 giorni a prezzi modesti. Questo interregno, secondo i comuni, potrebbe mettere a rischio la possibilità di rinegoziare le convenzioni in atto e di ridefinire le modalità di accoglienza, prospettando una gestione farraginosa. E se il ministro Cancellieri aveva scelto 10 giorni fa di ampliare di 700 posti il sistema di accoglienza rifugiati dello Sprar gestito dai municipi per i fuggitivi dalla Libia, il 20 dicembre ha stabilito che 500 saranno destinati al sistema dei Cara sovraffollati. Ne restano solo 200 disponibili ai comuni per i cosiddetti profughi Ena. Le dimissioni del governo sono state accompagnate da una dura nota dagli enti del Tavolo nazionale asilo: «Restano tutti aperti i problemi relativi all’emergenza Nord Africa ereditati dal governo Berlusconi – si legge nel testo siglato da tra gli altri da Asgi, Arci, Cir e Centro Astalli – e ben poco è stato realizzato dall’attuale governo e dal ministro Cancellieri per far fronte con tempestività a una situazione che si trascina da troppo tempo». Per le organizzazioni la gestione ha comportato «un incredibile spreco di risorse» e il tardivo avvio della procedura di riesame delle domande di asilo inizialmente rigettate ha impedito i percorso di integrazione sui territori. Ora gli enti chiedono chiarezza, dalla diffusione da parte delle autorità competenti di informazioni «precise e uniformi» in tutti i centri di accoglienza alla certezza della data nel quale anche l’ultimo profugo conoscerà la propria sorte.