La proposta gli è arrivata durante la segreteria Pd che ha anticipato l’anomalo 'confronto informale' del venerdì pomeriggio con i parlamentari democrat: «Matteo, riapriamo il dossier della legge elettorale. E vedrai che sulla riforma costituzionale il partito viaggerà veloce, in tempo per andare a vincere il referendum nel 2016», è lo 'scambio' messo sul tavolo dalla minoranza. Il premier ci pensa qualche secondo, poi replica: «Bene, benissimo, dimostratemi ora su quali correzioni troviamo una nuova maggioranza al Senato...». Cala il gelo, perché alternative all’equilibrio trovato sinora non ce ne sono. «Allora? – incalza il premier come a sottolineare il silenzio – . Ragazzi, il caso è chiuso, non c’è più spazio per cambiare. Fossi stato in Bersani e in chi ci critica avrei rivendicato tutti i miglioramenti già portati. Sull’Italicum, sul lavoro, sulla riforma costituzionale... Ora non si torna più indietro. Ormai lo avete capito, per chiudere le riforme sono pronto a tutto». Anche al voto, e non certo con il Consultellum. Bensì con il Mattarellum, sul quale potrebbe esserci un rapido accordo con M5S. Insomma l’affondo dell’ex segretario è respinto al mittente. A meno che non sia lo stesso Bersani a portargli un foglietto con su scritto chi, nella bolgia di Palazzo Madama, è disposto a votare un Italicum 3.0 a strettissima maggioranza e contro l’opposizione di Fi e grillini. Impresa difficile. E infatti il ministro Boschi, in serata, conferma il cronoprogramma: «Speriamo di chiudere l’Italicum entro l’estate e di andare al referendum sul ddl costituzione nel 2016». Parole dietro le quali si nasconde anche la tenue speranza che a breve Berlusconi possa tornare sui suoi passi e sedersi di nuovo al tavolo. Archiviata la faccenda, la segreteria si chiude e iniziano i quattro tavoli tematici al Nazareno su Rai, scuola, ambiente e fisco (quest’ultimo poi rinviato). Il premier è lì. «Ho ascoltato tutti i 46 interventi, altro che 'uomo solo al comando'», ironizza in tarda serata. Bersani non c’è, come annunciato. Ma gli ha scritto una mail su alcuni dei temi trattati: un segnale distensivo, letto da Palazzo Chigi. La risposta numerica soddisfa Renzi: circa 200 deputati e senatori, assicura Lorenzo Guerini. I dissidenti dicono 100, forse la verità sta nel mezzo. In diversi della minoranza sono lì, in particolare diversi presidenti di commissione. Buona parte degli assenti è giustificata da impegni già presi nei collegi elettorali. Il premier c’è e interviene ai tavoli tematici: conferma che martedì in Cdm si saranno il decreto e il ddl sulla scuola, e aggiunge che sbarcherà anche l’atteso piano sulla banda ultralarga che vale circa 7 miliardi. Quanto alla Rai, «bisogna correre» e al massimo entro due settimane il governo varerà un ddl da chiudere entro luglio, pena l’utilizzo di un decreto per forzare i tempi e l’eventuale ostruzionismo. Ci si rivedrà a breve con un gruppo ristretto, compresi gli attuali capigruppo. Ma uno spettro aleggia sulla riunione. La possibile sostituzione, al giro di boa della legislatura, a ridosso dell’estate, dei capigruppo e dei presidenti di commissione in Parlamento. In particolare trema un pezzo grosso, Roberto Speranza. I renziani non smentiscono: «È fisiologico, ed è doveroso prendere atto dei nuovi equilibri nel Pd, è passata un’era da quando Matteo ha vinto le primarie». È vero, l’alternanza è prevista dai regolamenti. Ma ha un valore politico. Il premier ha ancora tempo per capire fino a dove spingersi.