Caro direttore,oggi e domani a Malta saremo oltre 60 tra capi di Stato e di governo per una iniziativa voluta da noi, dall’Italia. Obiettivo: mettere l’Africa al centro della iniziativa europea. È inutile piangere sulle migliaia di sorelle e fratelli morti nel Mediterraneo, se poi non si ha la forza di reagire. Sul tema delle migrazioni che attraversano il nostro continente, non basta più commuoversi, occorre muoversi. Il Vertice di Malta è, dunque, la nostra grande occasione. Per l’Italia, per ritagliarsi e ritrovare il proprio ruolo nel Mediterraneo. Ma anche per l’Europa, per ritrovare l’anima persa sotto pile di polverose scartoffie burocratiche. Ritrovare noi stessi, riscoprire chi siamo. Il Mediterraneo si stringe nel “grande lago di Tiberiade”, come lo chiamava Giorgio La Pira, e le due rive si uniscono per affrontare insieme uno dei fenomeni più rilevanti della nostra epoca. Su questo l’Italia ha fatto il suo dovere e continua a farlo. Dobbiamo essere orgogliosi del lavoro quotidianamente svolto da quanti, in uniforme o con la passione del volontariato, hanno salvato tante vite umane in mare, sulle coste. Grazie al nostro impegno, oggi non sono più soli, ma vengono affiancati da squadre e unità navali degli altri Paesi europei. L’aumento del flusso di profughi e rifugiati nelle ultime settimane ha spostato temporaneamente l’attenzione dei media dal Mediterraneo centrale alla cosiddetta rotta balcanica. La guerra in Siria ha costretto milioni di famiglie ad abbandonare le proprie case, a separarsi dai propri affetti. È una catastrofe umanitaria che reclama tutta la nostra attenzione. L’Italia è impegnata in una forte iniziativa politica, convinta che già troppe bombe hanno martoriato la terra di Aleppo e Palmira. Al Summit della Valletta per la prima volta si agirà sulle cause profonde delle migrazioni. Nessuno abbandona le persone che ama senza una ragione profonda, spesso drammatica; nessuno si allontana da casa propria se non è costretto a farlo. Per questo bisogna intervenire nei Paesi d’origine perché si creino condizioni adatte alla crescita culturale, lavorativa ed economica di ogni potenziale migrante. Perché l’Europa rappresenti una scelta, e non un approdo obbligato, un destino inesorabile. Alla Valletta lavoreremo per tutto questo: per favorire lo sviluppo, migliorando la collaborazione tra Paesi europei e africani nella prevenzione e contrasto dell’immigrazione illegale, nella lotta alla tratta di esseri umani. Il
Trust Fund del quale l’Italia sarà tra i principali contributori sarà lo strumento operativo di una cooperazione innovativa tra Paesi che non vogliono limitarsi a reagire o tamponare il fenomeno migratorio, ma che vogliono accompagnarlo con scelte politiche e non emergenziali. L’Africa è al centro della strategia italiana e sono convinto che il continente africano sia pronto a accettare la sfida del futuro. Per questo mi sono recato in Tunisia nella mia prima missione all’estero da Presidente del Consiglio; per questo in meno di due anni ho visitato otto Paesi africani, recandomi due volte a Sud del Sahara. Per questo all’inizio del prossimo anno torneremo nell’Africa sub–sahariana, dove nessun premier italiano – sono stato io il primo a stupirsi di questa assenza – era mai stato in quasi settant’anni. Ho letto negli occhi degli africani la sete di futuro degli studenti di Nairobi, poco tempo dopo l’eccidio a Garissa, e la forza dei cittadini di Tunisi, all’indomani della strage del Bardo. L’Italia ha da poco riformato i suoi strumenti di cooperazione allo sviluppo, rendendoli più mirati e più efficaci. Abbiamo triplicato i fondi, con questa Legge di Stabilità, come avevamo promesso: 120 milioni nel 2016, 240 nel 2017, 360 nel 2018. Non è ancora quanto vorremmo, ma è il segno di una inversione di tendenza chiara. Che ci restituisce dignità nelle classifiche internazionali e riconosce il significato strategico della cooperazione per l’Italia. Lo scorso luglio ad Addis Abeba ho confermato la volontà di accrescere l’aiuto pubblico allo sviluppo, coinvolgendo sempre di più e meglio attori privati nell’attuazione di politiche per lo sviluppo sostenibile. Grazie anche tutto questo, oggi ci presentiamo in Africa con credenziali solide, come interlocutori credibili, affidabili. La cooperazione internazionale è in grado di fare molto: può aiutare a migliorare i livelli di educazione e formazione professionale, grazie a un migliore accesso degli studenti africani alle scuole e alle università europee; può accrescere la capacità di attrazione di investimenti nei Paesi beneficiari e creare opportunità di lavoro; può intervenire, infine, per alleviare il disagio delle fasce sociali più svantaggiate, attraverso interventi umanitari. Ma nessuna crescita sociale è possibile senza il rispetto delle minoranze etniche e religiose. La persecuzione contro i cristiani, ad esempio, è più di un attentato alla libertà di espressione religiosa: è un atto di autolesionismo, che – uccidendo il dialogo – inaridisce la terra del sale che l’ha nutrita per secoli. Se penso al futuro dell’Africa, al nostro stesso futuro, penso a un mondo in cui non sia più necessario mobilitarsi per salvare una giovane donna che, come Meriam Ibrahim, non aveva fatto altro che scegliere il proprio destino e la propria identità. L’incontro con quella ragazza, il suo sorriso indomito nonostante le catene che portava dentro, è stato uno dei momenti più intensi ed emozionanti di questi mesi di governo. L’Italia si presenta al Vertice di Malta cosciente che l’Europa si ritrova solo se corrisponde all’ideale su cui si è fondata: il no all’odio e alla guerra, l’apertura a un destino comune, il confronto e il dialogo come metodo. Un cammino che non si esaurisce, certo, nel breve spazio di una riunione, ma attraverso un’azione coerente e solida che segnerà il nostro futuro. Con il Mediterraneo come cuore, baricentro, come anima di una Unione che oggi guarda, con speranza e responsabilità, all’Africa.