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Pace. Gianni: ascoltiamo la voce profetica del Papa. No alla scorciatoia della violenza

Riccardo Michelucci martedì 1 novembre 2022

Padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato

Padre Bernardo Gianni è abituato a osservare il mondo da una “porta del cielo”. Haec est Porta Coeli, recita l’iscrizione marmorea sulla basilica fiorentina di San Miniato al Monte, affacciata sulla collina che sovrasta la città di La Pira e di don Milani.
Da quando, nel 2019, papa Francesco lo chiamò a guidare gli esercizi spirituali di Quaresima della Curia romana, l’abate fiorentino è diventato un punto di riferimento spirituale e culturale anche al di fuori della città di Firenze.

Qualche settimana fa è stato uno dei promotori di un appello contro l’aumento delle spese militari che definiva la pace un bene troppo grande per lasciarlo all’arbitrio dei signori della guerra. Quella che ravvisa, oggi, è «una depressione etica, morale, civile e politica che ha fatto accettare a molti la proliferazione e l’uso delle armi, come se fosse cosa buona e giusta», ci spiega. «Ma la fedeltà al Vangelo e al magistero della Chiesa, oltre alla lettera della nostra Costituzione, impongono un no netto e inequivocabile agli strumenti di morte». Proprio come quello affermato dalla manifestazione nazionale Europe for Peace del 5 novembre, promossa da un vasto gruppo di realtà del mondo associazionistico e sindacale, laico e cattolico.

Qualche giorno fa, durante l’incontro internazionale per la pace al Colosseo, papa Francesco ha detto che «non siamo neutrali ma schierati per la pace». Molti però si ostinano a non ascoltarlo.

La sua è una voce tipicamente profetica che si smarca da una immediatezza di analisi storica e politica che indurrebbe alla reazione e all’istintività. Il profeta, proprio per la dismisura che lo abita, ha uno sguardo che tende a fare di lui una persona pura, quasi apocalittico in senso buono, cioè rivelativo del senso stesso della storia riletta in Cristo, che può soltanto essere la pace, la riconciliazione, la giustizia e l’affermazione dei diritti degli innocenti. Il Papa è l’unico ad avere il coraggio di cercare altre soluzioni in tempi di crisi della politica e di de-ideologizzazione diffusa.

Perché lei ha sentito personalmente il bisogno di lanciare un appello contro l’aumento delle spese militari?

Perché il Parlamento aveva dato per scontato che non vi fosse altra modalità per tentare di risolvere la crisi seguita all’attacco russo. Ma il Vangelo ci ricorda che l’uso delle armi non è cosa buona e giusta. Ciò non significa sottovalutare le sofferenze della popolazione in Ucraina, né sollevare le nostre coscienze di europei sull’urgenza di mettere al riparo la vita degli inermi sotto attacco. Le armi non possono far altro che acutizzare le gravi conseguenze per i civili e il risentimento tra i popoli. Ma purtroppo negli ultimi anni anche la cultura costituzionale della pace è stata ulteriormente limata, se non proprio erosa, nel nostro Paese.

Quello dell’uso delle armi è un dilemma per credenti e non credenti. Ma i primi dovrebbero avere la bussola del Concilio, della Pacem in terris e di tanti altri momenti in cui il concetto di “guerra giusta” è stato messo da parte. Eppure alcuni tendono comunque a dimenticarlo.

Credo che talvolta prevalga una lettura un po’ manichea che preferisce la scorciatoia della violenza e si illude di poter rincorrere, attraverso essa, il presunto bene assoluto. Pur vedendo con chiarezza le colpe dell’aggressore, a prevalere deve essere sempre il primato della ragione perché la guerra – come ha detto papa Francesco - lascia sempre il mondo peggio di come l’ha trovato. Senza considerare che in questo caso, ogni minuto che passa aumentano anche i rischi di un conflitto nucleare dalle conseguenze incalcolabili. Non capisco perché, con la stessa meticolosa premura con la quale ci si riarma, non si vogliano attivare anche altre vie in grado di riportarci a un primato della parola, dei gesti e ovviamente anche dei giudizi nei confronti della storia e dei prepotenti.

Qual è la causa di tutto ciò e quale potrebbe essere il rimedio?

Talvolta ho la sensazione che, soprattutto dopo questi mesi di pandemia, la crisi della politica ovatti le nostre coscienze facendoci ritirare nei nostri piccoli orticelli, con sguardi sempre più angusti. La pandemia e la guerra sono a mio avviso correlati perché sono entrambi aspetti della crisi della polis da cui può salvarci però la profezia. Non solo da una prospettiva biblica e spirituale ma anche sul piano etico. Esiste infatti anche una profezia laica che consiste nella capacità di anticipare il futuro, costi quel che costi. Invece continuiamo a parlare di maggioranze politiche fermandoci all’aula parlamentare, dimenticando che anche alle ultime elezioni c’è stato un forte astensionismo che obbligherebbe tutti a essere consapevoli che le istituzioni non coinvolgono più una fetta consistente di popolazione nelle forme tradizionali della politica. C’è un’astensione dal voto ma anche dalla stessa capacità di guardare in faccia la realtà e i suoi problemi.

Vent’anni fa il popolo della pace scese in piazza in tutto il mondo. Per adesso solo l’Italia è riuscita a organizzare una grande manifestazione. Cos’è cambiato?

Oggi c’è un clima culturale e sociale di risentimento tra la gente che è imparentato con quello cui abbiamo assistito sulla vicenda dei vaccini e dei Green pass. Credo che la disgregazione del tessuto sociale e la povertà diffusa siano i più importanti detonatori di questa contrapposizione. Adesso sempre più persone, in gran parte italiane, si rivolgono al nostro monastero per chiedere aiuto, perché hanno fame, nel vero senso della parola.