Attualità

LE NUOVE REGOLE. Per colf e badanti 500mila richieste

Alessia Guerrieri sabato 8 agosto 2009
Non fate corse a settembre per le domande di emer­sione, invitano dal mini­stero dell’Interno. A correre, però, stavolta saranno i vertici del Vimi­nale, che per la regolarizzazione di colf e badanti non vogliono impie­gare un anno come nel 2002. Per questo rafforzeranno l’organico ne­gli Sportelli unici per l’immigrazio­ne: insieme alle 500mila domande di emersione attese, infatti, dovreb­bero arrivare anche 500 nuovi lavo­ratori (interinali) per far fronte alla mole di carte che ricadranno sulle Prefetture con la sanatoria. Ieri intanto è stata pubblicata an­che la circolare esplicativa. Ma gli ulteriori dettagli alla legge forse non basteranno a sciogliere i dubbi dei datori di lavoro, preoccupati di ri­sparmiare e rimanere comunque nella legalità, e quelli degli irregola­ri ansiosi di avere il permesso di sog­giorno per essere liberi di tornare, magari dopo anni, a casa. Un atto, ha spiegato il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, orientato «alla re­golarizzazione selettiva dei rappor­ti di lavoro di colf e badanti che ac­compagna la nuova disciplina re­pressiva della clandestinità». In Ita­lia secondo il Viminale sono circa 500mila le badanti in nero; recenti stime Ocse parlano poi di 750mila immigrati irregolari, che secondo la Caritas arrivano invece a toccare il milione. La sanatoria che cerca di mettere ordine nell’incalcolabile mondo del lavoro nero è chiara: nessuna dop­pia corsia, innanzitutto. Oltre a non esserci alcun limite di quota (per la richiesta informatizzata si avrà tem­po dal 1° al 30 settembre e tutte sa­ranno ammesse se presentate en­tro quella data) e nella speranza che 'l’ansia da click day' non faccia im­pazzire i terminali, chi ha già fatto domanda di regolarizzazione nel 2007/2008 non avrà un passaggio preferenziale. Anzi la circolare pre­cisa che la presentazione di dichia­razione di emersione «determina la rinuncia alla richiesta di nulla osta» già consegnata in precedenza. In più le domande verranno trasferite agli Sportelli unici dell’immigrazio­ne di competenza «nel rispetto del­l’ordine cronologico di ricezione». È vero però che, per accelerare i tem­pi tecnici, nei casi in cui le Questu­re abbiano dato già il nulla osta al datore di lavoro nell’operazione precedente, il parere positivo sarà valido anche per questa domanda di emersione: in parole povere, tut­te quelle richieste già accettate, che non si erano concretizzate in visti d’ingresso per gli immigrati e in conseguenti 'contratti di soggior­no', potrebbero essere analizzate più velocemente. Conclusione del discorso: se la domanda arriverà prima, l’immigrato in quel caso a­vrà prima il permesso di soggiorno. Per districarsi nella difficile trafila burocratica, serve un passo indietro. In base alla Bossi-Fini, lo straniero clandestino, se in possesso di una 'promessa di lavoro', faceva ri­chiesta di regolarizzazione e atten­deva il parere positivo delle Que­sture che consegnavano il nulla o­sta al datore di lavoro. 'Fingendo' che l’immigrato non fosse già sul nostro territorio nazionale, la do­cumentazione veniva inviata al Consolato italiano del Paese di pro­venienza del lavoratore, che conse­gnava all’immigrato il visto di in­gresso per l’Italia. Così lo straniero, dopo essere rientrato nel proprio Paese, poteva tornare in Italia per stipulare ufficialmente il rapporto di lavoro ed ottenere il permesso di soggiorno. «I tempi di questa pro­cedura – ha precisato Pino Gulia, re­sponsabile immigrazione del Pa­tronato Acli – variano da uno a tre mesi, ma spesso i nulla osta non si trasformano in visti perché gli im­migrati non tornano in patria per ritirare il documento: per paura, per mancanza di soldi, oppure perché fermati alle frontiere si vedono bloc­care, come clandestini, la procedu­ra di regolarizzazione». Tutto questo con la sanatoria non accadrà più, almeno per colf e badanti. Infatti, siccome lo straniero è già sul terri­torio nazionale, non servirà più l’in­vio del nulla osta al ministero degli Esteri per il rilascio del visto. «Que­sto significa – ha sottolineato Raf­faele Miele, consulente Caritas e re­sponsabile della rivista Immigra­zione – un risparmio in termini tem­porali, ma anche di costi per l’im­migrato che non è più costretto a lasciare il lavoro, con enormi disa­gi per la famiglia italiana da lui ser­vita, per tornare nel proprio Paese a ritirare il documento». Infine una nota potenzialmente a­mara: i 500 euro richiesti, formal­mente ai datori di lavoro, per sana­re l’irregolarità contributiva, nel ca­so di esito negativo della procedu­ra non verranno restituiti.