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Rapporto. Pensioni in media a 64,2 anni. L’Inps: no allarmi, il sistema è sostenibile

Marco Iasevoli martedì 24 settembre 2024

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla presentazione del rapporto annuale Inps con il presidente Gabriele Fava

Deve aver creato qualche turbamento al Mef, a Palazzo Chigi o presso gli stessi vertici dell’Inps la “ricezione” da parte dell’opinione pubblica del 23esimo Rapporto dell’Istituto. Tanto è vero che a sera è piovuta una nota di “chiarimento” per ribadire che «non ci sono problemi di sostenibilità a breve, medio e lungo termine» e che la «fotografia» del Rapporto evidenzia problemi comuni «a tutti i Paesi occidentali». In realtà, i numeri del Rapporto numero 23, tutto sommato identici a quelli del numero 22, 21, 20... raccontavano e raccontano quanto già è noto: il sistema è in equilibrio precario e basta un altro giochino politico-elettorale per farlo andare in «squilibrio», parola che è circolata dal mattino ma che evidentemente, riletta in serata, ha creato qualche apprensione politica. Nonostante che le parole di accompagnamento del presidente Gabriele Fava, pronunciate davanti al capo dello Stato Sergio Mattarella, fossero sembrate in linea con la prudenza e le rassicurazioni dei suoi predecessori.

E al netto degli “appunti serali” a un chiaro Rapporto da ben 400 pagine, pare difficile negare che il documento evidenzi - per tutti, non solo per le forze di governo - la pericolosità di dibattiti sulle “quote” in un Paese in cui la spesa previdenziale rappresenta - dati 2021 - il 16,3% del Prodotto interno lordo. E in cui l’età media di uscita dal lavoro, nel 2023, è sì in salita a 64,2 anni, ma con una media di 61,5 anni per le “anticipate” e di 67,5 per gli assegni di “vecchiaia”. E in cui il “carico” maggiore continua a venire dalle uscite con 42 anni e 10 mesi (41 e 10 per le donne) indipendentemente dall’età anagrafica.

Più contribuenti ma con meno potere d’acquisto

Tornando al rapporto, nel 2023 gli assicurati Inps sono stati 26,6 milioni. Un aumento di oltre 300 mila unità rispetto al 2022 e di oltre un milione rispetto al valore prepandemico di 25,5 milioni del 2019. Quasi 7 milioni sono “under 35”. Un riflesso dei buoni dati occupazionali degli ultimi trimestri. Ma dal punto di vista dei redditi reali non ci siamo: l’aumento nominale delle retribuzioni rispetto al 2019 (+6,8%) è decisamente inferiore a quella dell’inflazione, che tra il 2019 e il 2023 è collocabile attorno al 15-17%. Più lavoratori ma più poveri, è il problema salariale cui non si riesce a mettere mano.

Donne e giovani, il gap non si ricuce

Qualsiasi sia la prospettiva che si assume - salari o assegni pensionistici - la questione femminile resta grande e irrisolta. Nonostante siano “rosa” 8,4 milioni dei 16,2 milioni di pensionati, quindi più della metà, le donne percepiscono il 44% dei 347 miliardi erogati. Sul fronte dei salari, l’Inps ribadisce che con la nascita di un figlio sale la probabilità di uscita dal lavoro per la donna e si riduce per l’uomo. Nell’anno di nascita la percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. La nascita pesa anche sui redditi con le donne che perdono il 16% dei redditi se hanno il congedo di maternità e il 76% se non possono contare su questo ammortizzatore. Le associazioni familiari hanno immediatamente rimarcato questo dato.

Insieme alle donne, continua la penalizzazione per le nuove generazioni. A fronte di una retribuzione media annua di fatto pari nel 2023 a quasi 26 mila euro per i lavoratori dipendenti, gli under 30 guadagnano poco più di 14 mila euro, ovvero poco oltre la metà.

Assegno unico, Adi e crisi demografica

«Lo scenario demografico attuale - scrive Inps nel Rapporto - sta determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti», e non c’è l’effetto compensativo dell’immigrazione. Tuttavia, per l’Istituto la situazione italiana va equiparata a quella degli altri Paesi europei. Mentre cresce - ed è un dato che conterà in manovra - la fruizione dell’Assegno unico: il numero complessivo di beneficiari dell'assegno è cresciuto da 9,7 milioni a 10,1 milioni. Quanto all’Assegno d’inclusione, ne hanno fatto richiesta 695mila nuclei, pari a 1,67 milioni di persone coinvolte. L'importo medio mensile erogato è stato pari a 618 euro. Il 69% dei beneficiari si trova al Sud e nelle Isole.

Intanto, sul fronte dei conti pubblici fonti di governo hanno fatto trapelare che, dopo i nuovi dati giunti lunedì dall’Istat su deficit e debito, il Piano strutturale di bilancio non tornerà sul tavolo del Consiglio dei ministri nella riunione di questo venerdì: dopo gli incontri di oggi con le parti sociali, approderà direttamente in aula al Senato nella settimana tra l'8 e il 10 ottobre.