Pensioni. La Lega fa muro contro l'«allungamento» delle finestre fino a 7 mesi
Il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon.
Il tema pensioni, insieme al mantenimento del taglio del cuneo e all'abbassamento della pressione fiscale attraverso la riforma dell'Irpef, sarà al centro del vertice di maggioranza di venerdì prossimo. Nel confronto tra la premier Giorgia Meloni e i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani le frizioni potrebbero arrivare proprio quando sul tavolo finirà questo capitolo, con l’ipotesi di una nuova stretta per il pensionamento anticipato. L’ipotesi allo studio prevede la possibilità di uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi, ma il tutto passa attraverso l'estensione della cosiddetta “finestra mobile”, ovvero il tempo d'attesa tra la maturazione del diritto alla pensione e il momento in cui si può effettivamente riscuotere l'assegno. I distinguo politici («Le finestre non si toccano») arrivano soprattutto dalla Lega, con il sottosegretario al Lavoro ed esponente del partito, Claudio Durigon, che afferma: «Nel 2019 abbiamo avuto la prima quota 100 e abbiamo fatto il blocco di questo aumento pensionistico della legge Fornero che andava a 43 anni e 5 mesi. Io non so se c'è qualcuno nella Ragioneria generale dello Stato che cerca sempre di trovare i numeretti e quindi innalzare questa soglia, ma credo che oggettivamente non è tempo di poterla aumentare questa soglia e questi limiti di fuoriuscita della Fornero. Quello è e quello deve rimanere».
La palla dunque passa ai tecnici, già al lavoro con i primi calcoli e le simulazioni. In particolare, si starebbe esaminando la possibilità di introdurre un allungamento delle “finestre” per l'accesso alla pensione anticipata solo sulla base dei contributi e indipendentemente dall'età. Oggi la situazione è questa: vi si accede con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) e la finestra mobile è di tre mesi; mentre l'ipotesi per l'anno prossimo è di allungarla a 6-7 mesi. Il tutto porterebbe a far scattare l'uscita dal lavoro dopo 43 anni e 4 mesi (42 anni e 4 mesi per le donne) o addirittura 43 anni e 5 mesi in caso di allungamento a 7 mesi. Si ripristinerebbe così l'equilibrio con il canale di “quota 103” (62 anni d'età e 41 contributi), ora non solo più difficilmente raggiungibile con l'allungamento delle finestre (portate da 3 a 7 mesi per il privato e da 6 a 9 per il pubblico) ma anche meno conveniente, con l'imposizione ricalcolo contributivo che per molti si traduce in una riduzione a regime dell'assegno. La conferma arriva dalle adesioni più scarse del previsto fin qui registrate, tanto che per confermare la nuova “quota 103” anche il prossimo anno potrebbe bastare il 70% di quanto stanziato l'anno scorso (quindi poco meno di 590 milioni, rispetto a 835 milioni postati per il 2025). C’è poi da considerare l’altra ipotesi, più remota ma non esclusa del tutto, di introdurre anche per le pensioni anticipate con 42 anni e 10 mesi il metodo del ricalcolo contributivo: questo consentirebbe un forte risparmio, ma qui sorgerebbero altre difficoltà non solo politiche, perché non gradita dall'attuale maggioranza e neppure dai sindacati. Intanto la caccia alle risorse necessarie prosegue un po’ a tutto campo, con l'asticella che è stata alzata verso i 25 miliardi. In attesa dei potenziali incassi del concordato biennale e del possibile “tesoretto” derivante dal buon andamento delle entrate, al Mef si studia a fondo anche il capitolo delle varie agevolazioni.