Attualità

LA MOSSA DEL CAV. Berlusconi chiude il Pdl Torna Forza Italia

Vincenzo R. Spagnolo sabato 26 ottobre 2013
​​​​«Con questa deliberazione, si torna allo statuto di Forza Italia, che assegna al presidente il diritto-dovere di delegare gli incarichi. Tutti coloro che oggi esercitano delle funzioni vi hanno rinunciato...». È un Silvio Berlusconi determinato quello che alle 20 illustra, in un’animata conferenza stampa, l’esito dell’ufficio di presidenza appena concluso, dopo una giornata di tensioni che hanno rischiato per l’ennesima volta di lacerare il partito, spaccato dalla faglia fra lealisti al Cavaliere e "filo-governativi". La mossa del cavallo, giocata dal fondatore del Pdl nella partita a scacchi con la fazione pro governo, guidata dal segretario e vicepremier Angelino Alfano, assume la veste formale di un documento in 8 punti, che sancisce l’immediata «sospensione» delle attività del Popolo delle libertà e affida al presidente Berlusconi «pieno mandato politico e giuridico» per definire «obiettivi, tempi e modi della nuova fase». In parole povere, il Pdl chiude bottega e viene resuscitata Forza Italia. Gli attuali incarichi (come avevano chiesto i lealisti guidati da Raffaele Fitto) vengono azzerati e sarà il Cavaliere a riassegnarli, confermando, se lo riterrà, il segretario. La decisione è presa in assenza dei 5 ministri (Alfano, Gaetano Quagliariello, Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi) che prima si erano visti a Palazzo Chigi e quindi, dopo un confronto pomeridiano col Cavaliere, (definito «aspro» da alcune fonti) hanno deciso di non esserci: «Il mio contributo all’unità del nostro movimento politico è di non partecipare all’ufficio di presidenza, che ha il compito di proporre decisioni che il Consiglio nazionale sarà chiamato ad assumere», aveva premesso Alfano, optando per lo stand by e rinviando il confronto coi lealisti (e la conta interna al partito) all’8 dicembre, quando si riunirà l’organismo composto da circa 800 membri. Sarà in quella sede, se non prima, che potrebbe consumarsi una scissione. Anche i "lealisti" si preparano e, per convincere il Cavaliere della loro forza, nel pomeriggio si sono riuniti in casa di un parlamentare romano per una raccolta di firme, mobilitando i big di varie regioni (Lazio, Lombardia, Puglia, Campania, Toscana) e raggiungendo, sostiene una fonte, 300 adesioni. Lo scenario del redde rationem sembra trasparire anche da un’affermazione del ministro De Girolamo: «L’8 dicembre ci sarà in Consiglio nazionale un’ampia discussione e vedremo chi ha più a cuore le sorti del Paese e chi quelle del nostro leader».

Il Cavaliere però, in serata, prova ancora una volta a giocare il ruolo del pater familias, spiegando il forfait dei ministri come una decisione concordata: «Su 24 membri erano presenti in 19. I cinque assenti non hanno partecipato col mio consenso. Ci sono stati contrasti e incomprensioni personali, ma sono sicuro che saranno sanati. È assolutamente confermata l’unità del partito». Parole di tregua, che tuttavia cozzano col contenuto del documento finale, nel quale il pallido inciso sul «sostegno al governo» viene sovrastato dai toni accesi in difesa del Cavaliere, colpito da una «persecuzione politica, mediatica e giudiziaria» e dall’ennesima protesta contro la procedura di decadenza in corso al Senato. Se il Pd dovesse votarla, è l’avvertimento, addio larghe intese: «Sarà molto difficile continuare a collaborare con un alleato con cui si siede in Cdm, ma che si basa su una sentenza frutto di un disegno preciso di certa magistratura», avverte l’ex premier parlando coi cronisti. Poi lancia un chiaro messaggio alla "pattuglia dei cinque": «Ai ministri ho confermato la mia fiducia, se si mantengono nelle decisioni prese a maggioranza nel partito...».La tensione, insomma, resta e nella quarantina di giorni che mancano al fatidico 8 dicembre potrebbe succedere di tutto. Ad aggravare la spaccatura potrebbe essere proprio il voto di Palazzo Madama sulla decadenza del Cavaliere dal seggio senatoriale: «Applicando una legge discussa come la Severino, si violerebbe l’irretroattività delle norme penali, che è alla base del diritto», lamenta Berlusconi, ricordando il ricorso alla Corte di Strasburgo e confidando in una «revisione» del processo Mediaset. E un’eventuale domanda di grazia? «Spetta al capo dello Stato decidere», replica <+corsivo>tranchant<+tondo>. L’ultima battuta è quasi una speranza e la pronuncia uscendo a piedi da Palazzo Grazioli: con Alfano tutto risolto? «Secondo me, sì...».