Il caso politico mediatico del giorno ha un nome e un cognome. Si chiama Remigio Ceroni da Monterubbiano (Ascoli Piceno), classe 1955, deputato del Pdl; nella vita precedente a quella parlamentare ha insegnato nella scuole superiori. Ceroni – a titolo personale, ha tenuto a ribadire ieri – ha presentato un disegno di legge costituzionale, per modificare niente meno che l’articolo uno della Carta Costituzionale. Sì, quello che più o meno tutti recitano a memoria: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Il deputato che nel suo sito internet si definisce «marchigiano autentico», ne propone un allungamento. Così che, dopo la parola «lavoro», andrebbe introdotta la frase: «...e sulla centralità del Parlamento quale titolare supremo della rappresentanza politica della volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale». Per capirci qualcosa di più, bisogna leggere attentamente la dotta relazione di accompagnamento, nella quale Ceroni chiosa e ragguaglia, verso la fine, con icastico periodare: «Non è un mistero che, oggi in Italia, i poteri del Parlamento e del governo sono debolissimi e sono tenuti sotto scacco dalla magistratura e dalla Corte Costituzionale e cioè da organi privi totalmente di rappresentanza politica, i quali (...) in violazione dei principi ispiratori della Costituzione stessa, si arrogano compiti ed attribuzioni che non spettano loro». Insomma, l’idea che guida Ceroni è che, modificando l’articolo 1 nel senso da lui proposto, una legge approvata dal Parlamento non dovrebbe essere più soggetta ad altri controlli, capo dello Stato incluso. Difficile pensare che davvero la proposta possa arrivare a compimento, con doppia lettura da parte di Senato e Camera e referendum confermativo alla fine. Tuttavia, forse per il clima esasperato di questi giorni, è stata presa maledettamente sul serio. Scatenando una vera e propria bufera politica e mediatica. C’è chi, come il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, l’ha giustamente buttata sul ridere: «Tanto vale che scrivano che la nostra Repubblica è fondata su Scilipoti..!». Ma ci sono stati una serie di commenti allarmati da parte di politici che hanno gridato al colpo di Stato o all’attentato alla Costituzione, come Oliviero Diliberto o Antonio Di Pietro. Poi giudizi duri, come quello di Piero Fassino («proposta irricevibile») o come quello l’ex presidente della Consulta Antonio Baldassarre che ha dichiarato: «È una vergogna, non abbiamo bisogno di politici di tal fatta». Il finiano Di Biagio la considera una provocazione, ma non di meno pericolosa: «È chiaramente finalizzata ad alzare i toni, rinvigorendo la contrapposizione tra potere legislativo e giudiziario abilmente messa su dal premier». Interviene anche Md, la costola di sinistra della magistratura.Dallo Stato maggiore del Pdl arrivano invece inviti a sdrammatizzare. Maurizio Lupi dice: «Occupiamoci di altro». Osvaldo Napoli commenta: «Sembra di stare al Truman-show». Mentre da Palazzo Grazioli trapela: il Cavaliere non ne sapeva nulla.