«Dobbiamo eleggere il presidente della Repubblica. È sempre stato difficile, nelle condizioni date non è facile, richiede un’assunzione di responsabilità soprattutto da chi ha più numeri. Attenzione al passaggio che abbiamo davanti». Pier Luigi Bersani sa che si sta giocando tutto: dal nome del candidato al Quirinale dipende l’esile speranza di restare in pista per formare il suo governo. L’annuncio dell’accordo con il leader del Pdl su una personalità condivisa non porta nulla di buono al segretario democratico: Franco Marini non piace ai renziani. E non solo a loro. Il partito nel caos viene convocato al teatro Capranica, dopo un pomeriggio di incontri tra correnti. Il segretario deve convincere i suoi 424 grandi elettori, insieme a quelli di Sel. L’impresa si rivela più dura del previsto. Messa ai voti in serata la proposta Bersani passa, ma emerge anche un ampia contrarietà: i favorevoli sono 222, i contrari 90, gli astenuti 30. Mentre Nichi Vendola e i suoi lasciano la riunione prima della conta finale: «Marini? Sarebbe la fine del centrosinistra», afferma il leader di Sel. «Siamo in mare mosso, insieme a larga coesione servirà esperienza politica, capacità ed esperienza», per questo «avanzo la candidatura di Franco Marini», aveva detto Bersani. «Sarà in grado di assicurare la convergenza delle forze politiche di centrodestra e centrosinistra, ha un profilo per essere percepito con un tratto sociale e popolare. È personalità di esperienza con carattere di reggere le onde e con radici nel mondo del lavoro, ed è persona limpida e generosa. Costruttore del centrosinistra». Un profilo distante anni luce da quello che in contemporanea tracciava Matteo Renzi davanti alle telecamere di La7. «Votare Marini significa fare un dispetto al Paese», secondo il sindaco di Firenze, che piuttosto voterebbe addirittura Stefano Rodotà o anche Emma Bonino. Anche se i candidati che avrebbe visto meglio restano Romano Prodi o Giuliano Amato. «Si sceglie una persona più per le esigenze degli addetti ai lavori che per il Paese. Ve lo immaginate al telefono con Obama?». Nulla di personale, dice: «Conosco Marini, mi sta molto simpatico e se sarà eletto sarò il primo a mettere la sua foto dietro la scrivania, ma credo che ci siano tanti motivi perché non va bene», a cominciare da quelli anagrafici: Il no renziano, dunque, non arriva nel segreto dell’urna, ma a volto scoperto. Dopo un pomeriggio tormentato in cui i 51 parlamentari del sindaco si interrogano. Qualcuno vorrebbe cedere. Allarmato, Renzi telefona ai suoi e blinda il "no". Ma quando Bersani arriva al Capranica l’atmosfera è gelida. Marianna Madia, Walter Tocci, la prodiana Sandra Zampa, Pippo Civati e perfino Rosy Bindi prendono le distanze. «Se servirà per le larghe intese Marini non sarà il mio presidente», dice Bindi. I Giovani turchi non bocciano il nome ma insistono sulla necessità di non spaccare il partito. Le perplessità aumentano. «L’accordo che sembra chiuso su Marini al Quirinale è una scelta gravissima», commenta dal Friuli la candidata governatore Debora Serracchiani. I renziani chiedono a Bersani di mettere ai voti la candidatura di Marini. Il segretario accetta la sfida e intorno alle 23 arriva il voto. Passa la linea Bersani, ma il partito è spaccato e i no vanno ben oltre il gruppo dei renziani. Si vedrà oggi con quali conseguenze.