Il fragile filo che tiene ancora legati Pdl e finiani costringe l’opposizione a frenare su scenari e prospettive. L’opzione fondamentale resta - con distinguo circa la mission, la durata e la guida - un governo di transizione per cambiare la legge elettorale. Ma l’ombra del voto continua ad alimentare nel Pd il dibattito sui soliti nodi: primarie o meno, il profilo del leader, l’ampiezza della coalizione. Ieri, gli interventi autorevoli di Piero Fassino e Rosy Bindi hanno stoppato nuovamente la candidatura a premier di Nichi Vendola: «È figlia dell’impazienza», spegne il fuoco l’ex segretario dei Ds in un’intervista a
l’Espresso. «Non può essere lui a fare una sintesi tra le diverse componenti del centrosinistra», conferma il presidente dei democratici in una festa a Siena. Quanto all’esecutivo-ponte, resta a denti stretti il «si» di Antonio Di Pietro, che anche ieri ha ribadito di crederci poco («sono disposto ad andare a votare subito, è l’unico modo per liberarsi del modello piduista che è al governo»), e per di più condiziona l’accordo a richieste (mettere mano al pluralismo informativo e al conflitto d’interesse) che potrebbero arenare il progetto. Al centro, invece, l’Udc e l’Api Rutelli respingono le «forzature» e il «terrorismo» sul voto anticipato, rilanciando gli appelli ad unire le forze.Fassino e Bindi danno al loro ragionamento lo stesso input: «Non abbiamo paura del voto, anche se fosse a ottobre». Una precisazione dovuta, date le ricostruzioni dei giornali che mostrano un Pd preoccupato dalle urne. Tuttavia, prosegue l’ex segretario, «sarebbe più ragionevole andarci con una nuova legge elettorale». Il punto è che l’elettorato di sinistra è «impaziente» e non ne può più di «vedere Berlusconi ancora lì», e allora nascono «candidature come quella di Vendola». Il rischio è che il governatore pugliese venga accolto come un salvatore della Patria, ma senza un progetto. Per questo il Pd ha proposto un governo di transizione - «non un ribaltone» - che può essere condiviso da Idv, Udc, magari anche dai finiani, e che «può essere anche più allargato». Nessuna pregiudiziale, eccetto che sul capo dell’esecutivo: «Non può essere Berlusconi». Da Siena, Bindi aggiunge giusto un altro elemento: «In caso di voto, da statuto, il candidato del Pd è il segretario Bersani, ma se faremo una coalizione decideremo con le primarie». Ma leader che catturano le simpatie delle sinistre come Vendola e Di Pietro non sono la soluzione migliore se il fine è di «creare un fronte delle opposizioni compatto». Se non è Vendola il possibile candidato a premier tanto meno può esserlo, per i democratici, un altro nome forte dell’Idv, l’ex pm Luigi De Magistris, che ha avanzato la propria disponibilità nel caso l’ex pm di Mani pulite rinunciasse a correre. Ipotesi che fa rabbrividire Giorgio Merlo («già immagino lo slogan: "Più carcere per tutti"»), ma che invece non dispiace alla sinistra radicale, che con Claudio Fava, segretario di Sel e sponsor del governatore pugliese, reclama «primarie vere». Fuori dal coro l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi, che indica un’unica priorità: portare la crisi nelle mani di Napolitano.Al centro, c’è chi come Ferdinando Adornato (Udc) non rinuncia al bersaglio grosso: «Un Pd che rompesse con Di Pietro sarebbe una grossa novità». Il suo collega, Maurizio Ronconi, reagisce a chi, minacciando il ritorno alle urne, «surroga la potestà del Parlamento». Sulla stessa lunghezza d’onda Pino Pisicchio (Api): «Basta con questo terrorismo, siamo seri e cambiamo il porcellum».