Dopo il voto. Pd, alta tensione tra Lotti e Orlando
L’appello del presidente Mattarella alla responsabilità cade nel dibattito post sconfitta del Pd e ha l’ef- fetto di una mina tra le macerie. La diffidenza reciproca tra i renziani di stretta osservanza e il resto del partito scatena il timore di una strumentalizzazione delle considerazioni del capo dello Stato, per spingere sulla opportunità di un’alleanza con i 5 stelle, finora esclusa a parole da tutte le correnti (ad eccezione di Emiliano). In attesa dei chiarimenti nella direzione di lunedì, in cui verranno ufficializzate le dimissioni di Matteo Renzi da segretario, dunque, c’è chi lavora per rasserenare gli animi (come il vicesegretario Maurizio Martina, Lorenzo Guerini e anche Walter Veltroni) e chi si lascia andare al crescendo delle polemiche, che tornano a raggiungere toni molto aspri tra il ministro renziano Luca Lotti e il guardasigilli Andrea Orlando.
Proprio a fronte della situazione caotica (considerata conseguenza inevitabile da Giorgio Napolitano), quindi, prende corpo l’ipotesi di uno slittamento del congresso per l’elezione del nuovo leader dem. L’ipotesi che si fa strada è quella di una reggenza di Martina, che dovrebbe guidare la delegazione al Quirinale, anche per un tempo più lungo (fino al 2019), quando cioè si sarà esaurito il dibattito interno e si saranno ricomposti gli equilibri, grazie anche a una gestione collegiale del partito. Allo stato, infatti, andare verso l’assemblea significherebbe rischiare una spaccatura e molto probabilmente rinunciare alle primarie (lo statuto lo prevede), alle quali comunque Renzi – assicura Rosato – non parteciperà. Potrebbe esserci invece Calenda, che ieri è stato seguito dal fotografo Oliviero Toscani tra i neo-tesserati del Pd. Ma non per questo Renzi vuole fare da capro espiatorio di una sconfitta addebitabile, per i suoi, a diverse cause. «Ha ragione il ministro Orlando quando chiede un dibattito nel Pd, sul Pd – stigmatizza Lotti –. Almeno, così, avremo modo di parlare di chi ha perso nel collegio di residenza ma si è salvato col paracadute, di chi non ha proprio voluto correre e di chi ha vinto correndo senza paracadute».
Parole di fuoco che Andrea Orlando, parlando con i suoi, avrebbe commentato così: «Lotti attacca me per mandare un messaggio ai renziani in fuga». Dietro alle schermaglie resta la preoccupazione reciproca di dover tornare a sostenere governi di responsabilità e pure in qualità di stampella. Anche qui il Pd resta diviso. I renziani – se costretti da uno stallo logorante – potrebbero aprire all’astensione davanti a un esecutivo di centrodestra, con un premier meno 'ingombrante' di Salvini. Ipotesi che gli orlandiani aborriscono. Piuttosto, la sinistra interna sarebbe più propensa a unire le sue forze a Leu per un governo 5 stelle. Ma a oggi nei gruppi parlamentari prevale la componente renziana (38 su 56 al Senato, il 7080 per cento dei 112 deputati alla Camera). Anche se sulla fedeltà dei gruppi non si è mai certi. Per ora si tratta di 'fanta-scenari'. Renzi si dissocia da entrambe le soluzioni. Ma, taglia corto ancora Rosato, «chi ha ricevuto dagli italiani il mandato a governare lo faccia e dimostri le proprie capacità».