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Trattative. Patto di Stabilità europeo, l'intesa è a un passo

Giovanni Maria Del Re martedì 19 dicembre 2023

Il ministro delle Finanze della Germania, Christian Lindner (a destra), con il cancelliere tedesco Olaf Scholz

Accordo vicinissimo sulla riforma del Patto di stabilità Ue. Alla vigilia della riunione straordinaria in videoconferenza dell’Ecofin di oggi pomeriggio, ieri il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, e il collega tedesco alle Finanze, Christian Lindner, riuniti a Parigi apparivano allineati e fiduciosi. E, a sentire i due, anche l’Italia è della partita. «Stasera (ieri a Parigi, ndr) raggiungeremo l'accordo al 100% con la Germania», ha assicurato Le Maire. È chiaro ormai che Berlino (che in sostanza ha stravinto, imponendo una raffica di rigidi criteri non previsti dalla proposta iniziale della Commissione) accetta la richiesta di Italia e Francia di un periodo di transizione tra il 2025 e il 2027 per tener conto del peso sul debito degli alti tassi Bce. Lo si era già capito all’Ecofin dell’8 dicembre. «L’Italia – riassume un’alta fonte Ue – ritiene che le sue principali preoccupazioni sul peso degli interessi sia recepita nel testo». «Abbiamo già avuto un colloquio oggi (ieri, ndr) con il nostro collega italiano Giorgetti – ha confermato Lindner - e sono quindi fiducioso che si possa raggiungere un accordo». «Abbiamo lavorato molto – gli ha fatto eco Le Maire - con Giorgetti. Siamo sulla stessa linea». Parole che sembrano smentire lo scetticismo dei giorni di Giancarlo Giorgetti e della premier Giorgia Meloni. «La trattativa non è ancora chiusa», è l’unico commento trapelato invece ieri dal Tesoro

La questione del periodo di transizione aveva fatto storcere il naso agli ultra-falchi (Austria, Olanda e i nordici). Rispetto al testo di compromesso emerso dopo l’8 dicembre, la presidenza spagnola ha fatto ritocchi per facilitare l’intesa. «Abbiamo ora – dicono le fonti – un testo concordato. Il messaggio rimane invariato».

La discussione di oggi dalle 16, spiegano a Bruxelles, si incentrerà sugli ultimi due aspetti cruciali. Il primo riguarda la velocità con cui ogni Stato dovrà convergere verso l’»àncora» del deficit, e cioè la «distanza di sicurezza» rispetto alla soglia del 3% del Pil. Distanza ormai cristallizzata all’1% per gli Stati con meno del 90% del Pil di debito (dunque massimo un deficit del 2%) e 1,5% per quelli al di sopra (tra cui Italia e Francia, dunque massimo un deficit dell’1,5%). L’ultimo testo prevede una riduzione strutturale dello 0,3% su 4 anni (o 0,2% nel caso di un’estensione del piano a 7 anni). Altro punto sono le soglie massime di deviazione dal percorso di riduzione, oltre le quali scatta la procedura. Al momento si parla di massimo lo 0,5% del Pil l’anno o lo 0,75% cumulativo. Si vedrà, ieri l’aria non era di rottura. «Arrivati a questo punto – dicono diplomatici Ue – la calibrazione finale di queste cifre non dovrebbe impedire l’accordo». Tra gli altri punti voluti da Berlino e già passati, l’obbligo di una riduzione media annua del debito dell’1% per i Paesi con indebitamento sopra il 90% del Pil e dello 0,5% per quelli tra 60% e 90%.

Morta definitivamente l’ipotesi di uno scorporo degli investimenti strategici dal deficit chiesto dall’Italia. «Se n’è parlato all’inizio – spiegano a Bruxelles – ma l’idea ha varie debolezze. La prima è la difficoltà di identificare con precisione quali investimenti scorporare. La seconda è quella di stabilire in quale misura detrarli dal computo. Molti Stati membri (i “falchi”, ndr) hanno del resto insistito che il debito è debito». Tuttavia, si è trovato il modo per dare spazio agli investimenti. Il primo è nella possibilità (già prevista nella proposta della Commissione) di allungare il periodo di aggiustamento da 4 a 7 anni a fronte di impegni per riforme e investimenti (nella fase iniziale basteranno gli impegni del Pnrr). La seconda è la considerazione data al costo degli interessi. Infine, le spese per la difesa vengono considerate “fattore rilevante” nella valutazione di una possibile procedura.