Attualità

La lettera. Patriciello: «Caro De Luca, lei non offende me ma la mia povera gente»

Maurizio Patriciello sabato 11 maggio 2024

Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, e il governatore della Campania Vincenzo De Luca

Caro Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, eccomi qua. Venerdì sera, stanco e affamato, faccio ritorno a casa; una cena fugace e poi, finalmente, il dovuto riposo con un libro in mano . Purtroppo le ore che avrei voluto dedicare alla lettura sono evaporate dopo aver preso atto dell’attenzione che lei ha voluto riservare alla mia persona e alla mia missione. Ho visto e rivisto il video in cui mi chiama in causa.

Sono stato da lei definito il «Pippo Baudo con la frangetta». Puerile. Inutile dirle che non mi sono sentito minimamente offeso, ma solo tanto addolorato. Per lei, innanzitutto. Perché, mi sono chiesto, un uomo delle istituzioni più che settantenne sente il bisogno di ricorrere a questi infantili stratagemmi per colpire gli avversari politici? Che ce l’avesse con il governo in carica, infatti, non avevo dubbi. Ma perché tirare in ballo il parroco del Parco Verde in Caivano? Che c’entro io nel triste tira e molla tra il presidente della “mia” regione e il presidente del Consiglio della “ mia” Repubblica? Capisco che la venuta a Caivano del governo Meloni l’abbia infastidita non poco. Le chiedo, però, di dirmi onestamente, che avrebbe dovuto fare il parroco di un quartiere definito “una delle più grandi piazza di spaccio d’Europa” in un paese, Caivano, dove, come lei stesso stesso ha detto «lo Stato non c’è. Stop». A chi avrebbe dovuto rivolgersi questo prete per liberare gli abitanti, prigionieri nelle loro stesse case, che per entrare e uscire dai propri palazzi dovevano chiedere il permesso agli spacciatori? Le chiedo – con estrema serietà – quali santi avrebbe dovuto continuare a invocare perché i suoi bambini potessero godere dei diritti più elementari di cui godono i loro coetanei italiani?

Da quasi 20 anni scrivo per Avvenire, che non smetterò mai di ringraziare per aver ospitato decine di articoli in cui ho denunciato lo stato di abbandono del quartiere e di Caivano, prima, e della Terra dei fuochi, poi. Si ricorda, Presidente, di quando, sindaco di Salerno, lei sentì il bisogno di portarsi nella sala dove don Anello Manganiello e io stavamo tenendo un convegno sul dramma ambientale che si abbatteva sulla salute della nostra gente per congratularsi con poi e dirci tutta la sua stima? Augurandosi che di preti così ce ne fossero tanti. Poveri preti, non passa un giorno in cui chiunque si sente autorizzato a farci da maestro su come svolgere la nostra missione. Troppospirituale, rispettoso e fiducioso nelle istituzioni? A dir di qualcuno, un don Abbondio di cui il mondo non sente il bisogno: occorre sporcarsi le mani,avere addosso il puzzo delle pecore, farsi ultimo con gli ultimi, rischiare la vita, eccetera. Senti il dovere di scendere tra il popolo bistrattato per amplificarne i lamenti e le ingiustizie subìte e tentare – dico tentare – di apportare un po’ di beneficio alle sue sofferenze? Se dai fastidio, ecco dietro l’angolo il saccente di turno che vuole ricacciarti in chiesa a spolverare i banchi. Se gli servi, si farà in quattro per gridare al mondo che sei un eroe. Se ti ammazzano, poi, non ti dico, accade come per la tonaca di Gesù, tireranno a sorte per stabilire a chi appartieni, a chi dovranno andare i diritti d’autore.

Sono entrato in seminario a 30 anni con l’unico desiderio di essere un prete secondo il cuore di Dio. Per anni mi sono tenuto lontano da ogni impegno dal sapore sociale, fino a quando, in questa terra di nessuno, non mi sono sentito tirare per la tonaca e sono sceso in campo. Per amore, solo per amore della mia terra e della mia gente; per sopperire alle deficienze, alle omissioni e ai tradimenti di chi si era assunto l’onere di governarci e non lo fece. Oggi, per la seconda volta consecutiva, l’amministrazione comunale di Caivano è sciolta per infiltrazioni camorristiche. Un ex assessore, in carcere, ha confessato di quando si sarebbero seduti allo stesso tavolo amministratori, dirigenti comunali, imprenditori e camorristi. Spaventoso. Che fare, per non morire? Il 25 di agosto scorso, esasperato dopo lo stupro di due bambine, scrivo questo messaggio al Presidente del Consiglio: «Giorgia, ho il cuore lacerato. Quest’ultima tragedia mi ha annichilito. Sono tutti ragazzini... Per favore, vieni! Facci sentire italiani... europei. Vieni a vedere come sopravvivono i dannati del Parco Verde. Vieni a portare lo Stato in questo quartiere che diventa sempre di più un ghetto. Dio ti benedica». Una settimana dopo, il 31 di agosto, con mia grande meraviglia, Giorgia Meloni, con una parte del suo governo arriva in parrocchia. Prende impegni e li mantiene. I soliti uccelli del malaugurio iniziano il loro ritornello: “È un’altra passerella...”. Grazie a Dio, la “ passerella” stavolta non c’è stata. Qualcosa di bello sta avvenendo, e lei, Presidente, lo sa meglio di me.

Ritornando alle sue esternazioni, le assicuro che non mi sento affatto offeso; impaurito, invece, per me e la mia scorta, sì. La sua sarcastica ironia nei miei confronti potrebbe suonare come un invito a chi mi ha minacciato e fatto esplodere l’ordigno davanti alla parrocchia, di continuare a farlo. Se dovesse accadere, sarebbe molto triste, non trova? Per lei, innanzitutto.
La saluto, Presidente. Le auguro ogni bene.