Caivano. Droga e camorra, si muore al Parco Verde. Ma i giovani lottano per il riscatto
La bara esce lentamente dalla chiesa del "Parco Verde" di Caivano, il giorno prima della domenica delle Palme, appena finito il funerale d'un altro morto di droga. Poco lontano, alla luce del sole e senza problemi, gli spacciatori continuano il loro "mestiere". I parenti piangono. Ci sono anche un bel po' di ragazzi, giovani, anzi giovanissimi, molti di loro neppure arrivano a diciotto anni. Fra poco è Pasqua e «qui ci sentiamo in croce», dicono.
Le loro parole sono amarissime: «Stiamo cercando di dare vita a qualcosa che sta morendo». Cos'è? «Noi giovani». Non mollano, sebbene non sia facile andare avanti, specie «quando si hanno esempi sbagliati», specie perché «nel nostro quartiere, più che la via dell'umiltà, si segue la via dell'omertà». Già. E tuttavia, difficile o meno, «vogliamo liberarci» ripetono.
Non bastasse la droga, non bastasse lo strapotere della camorra, «siamo anche giudicati dall'esterno», da chi è fuori dal Parco Verde: «Fanno di tutta l'erba un fascio - raccontano questi ragazzi -, senza distinzioni tra persone oneste e umili e la camorra». Hanno ragione, chi vive qui è considerato brutto, sporco e cattivo. Indistintamente. Ha un'etichetta, che, a torto o a ragione, è appicciata comunque addosso.
Uno di questi ragazzi ha sedici anni: «Sono nato in questo quartiere malfamato, è vero, e ho visto poche persone umili. Ma queste poche mi hanno segnato». Un altro ne farà diciotto fra qualche mese: «Il Parco Verde non è solo droga e camorra, è anche giovani che lottano per migliorarlo». E che non hanno nessuna intenzione di smettere: «Ce la faremo - ti spiegano -, crediamo che ci sia la resurrezione, anche per noi».
Ormai Pasqua è alle porte e non hanno dubbi. «Cristo è risorto. Sì, risorgeremo anche noi. La resurrezione sarà la nostra vittoria, la vittoria della legalità e la vittoria di quella piccola parte che, giorno dopo giorno, cerca di fare nel suo piccolo una grande differenza».