Neonati abbandonati. Parto anonimo e «culle per la vita», ecco come salvarli
È successo tre volte, nell’ultimo mese. Famiglie normali, solo all’apparenza. Donne che giurano, spergiurano di non essersi accorte della gravidanza. E neonati gettati via, morti nonostante tutti i tentativi di soccorso e tutte le possibilità d’essere lasciati in vita, alla vita. Il 7 maggio a Trieste una sedicenne ha avvolto la sua piccola appena nata in una busta di plastica, e l’ha abbandonata nel giardino del condominio. Settimana scorsa una mamma di Settimo Torinese ha partorito nel bagno di casa, di prima mattina, poi ha gettato il suo piccolo dalla finestra. Giù, sull’asfalto. Giovedì il caso quasi indicibile di Ferrara, con una donna di 40 anni che per nascondere la (incomprensibile) vergogna, o forse la paura, del suo settimo figlio, lo ha chiuso nel freezer di casa, tra gli altri alimenti.
Condannati a morte appena nati
La terribile conta, non la fa nessuno. Secondo la Società italiana di Neonatologia, che nel 2015 ha condotto una ricerca, sarebbero però almeno 400 i neonati abbandonati ogni anno. E parliamo soltanto di quelli che sopravvivono: gli altri, gettati via, nascosti chissà dove, non hanno nemmeno l’onore delle statistiche. O dei funerali (nel caso del bimbo di Settimo Torinese gettato in strada dalla madre, a organizzarli ha pensato il Comune).
Pensare che quei piccoli, condannati a morte da chi li mette in vita, potrebbero essere salvati senza costi, senza sforzi. È il cruccio del Movimento per la vita, che in queste ore è tornato con forza a battere i pugni sul tavolo: «L’orrore avvenuto a Migliarino (Ferrara) dimostra ancora una volta la necessità di avviare subito una campagna informativa capillare sulla possibilità di partorire in anonimato all’interno dell’ospedale o di affidare il neonato alle Culle per la vita» ha ricordato ieri il presidente Gian Luigi Gigli, che chiama in causa il governo. Malgrado la buona legge, il parto in anonimato è infatti in progressivo calo, mentre aumentano infanticidi e abbandoni in condizioni di insicurezza: «Torniamo a chiedere all’esecutivo – ha detto Gigli –, se non vuole essere corresponsabile di quanto troppo spesso accade, di farsene urgentemente carico, attraverso uno spot di pubblicità-progresso, e alle regioni di diffondere adeguatamente queste informazioni negli ospedali, nei consultori e nelle strutture assistenziali per prevenire aborti, abbandoni all’aperto e infanticidi».
Ma come funziona, il parto in anonimato?
La donna può decidere di partorire in ospedale, assistita in tutto e per tutto, e poi chiedere di non riconoscere il piccolo che dà alla luce: nell’atto di nascita del bambino (DPR 396/2000, art. 30, comma 2) viene scritto "nato da donna che non consente di essere nominata" e il nominativo del neonato viene immediatamente segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, permettendo così l’apertura di un procedimento di adottabilità. Il piccolo vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato. E alla madre, oltre all'anonimato, è garantita tutta l'assistenza necessaria (qui tutte le informazioni del Ministero della Salute).
Si può cambiare idea?
Se la donna non vuole più il parto anonimo prima che sia partita la denuncia di nascita da parte dell’ospedale, la legge stabilisce che sia semplicemente restituita in busta chiusa la sua precedente richiesta. Il tutto viene comunicato al Tribunale dei Minori, che procede a convalidare il riconoscimento. Se invece la donna cambia idea dopo la denuncia di nascita effettuata dall’ospedale, dovrà rivolgersi al Tribunale dei Minori e poi al Comune di residenza per effettuare il riconoscimento.
Se il padre è presente e vuole riconoscere il bambino, a questo ultimo viene dato il suo cognome. Al padre viene poi consegnato l’atto di nascita e affidato il bambino, salvo diverse disposizioni da parte del Tribunale dei minorenni.
E se il piccolo nasce in casa?
In alternativa, c’è la possibilità di sistemare il piccono nato a casa, e non in ospedale, nelle Culle per la vita: 55 “cassette” termiche direttamente collegate con gli ospedali, presenti da Nord a Sud, in quasi tutte le regioni italiane (qui la mappa e tutte le informazioni). Tra Migliarino di Ferrara, il paese in cui ieri è avvenuta la macabra scoperta dell’ennesimo neonato morto, e Finale Emilia (che ospita una Culla per la vita) ci sono appena 40 minuti di strada. Poco più del tempo che la donna – una 40enne italiana, già madre di altri sei figli, a detta di tutti normale, attenta – ha impiegato per lavare il corpicino del suo piccolo (i carabinieri lo hanno trovato perfettamente pulito), infilarlo in una busta di plastica e nasconderlo nel freezer di casa. Per quel gesto ora è indagata: omicidio volontario aggravato e occultamento di cadavere le accuse. In ospedale s’è presentata con una gravissima emorragia, dicendo d’essere caduta. Poi ha sostenuto di non essersi accorta, d’essere incinta.