La diocesi è ancora sotto choc per la tragica morte di
don Carlo Certosino, che
lunedì mattina si è impiccato nella soffitta dei locali adiacenti la chiesa di San Simone, dov’era parroco. Livornese, 54 anni, non aveva accettato la decisione del
vescovo Simone Giusti che, nell’ambito degli avvicendamenti fisiologici, lo aveva destinato ad altra comunità. Il sacerdote aveva concordato che il trasferimento avvenisse entro un anno da quando gli era stata notificata la decisione. Ma alla scadenza si era opposto, chiedendo aiuto ai parrocchiani. Lo spostamento però era stato confermato: avrebbe dovuto lasciare la parrocchia il 30 giugno. Poi il gesto tragico e incomprensibile di lunedì. Vicino al corpo sono state ritrovate sette lettere indirizzate al vescovo monsignor Simone Giusti, a un amico prete, al vicario, ai confratelli e ad alcuni laici, come ha spiegato il vicario generale don Ivano Costa, giunto sul luogo prima di tutti: lettere sequestrate dalla polizia con il computer di don Carlo per capire le motivazioni del gesto, e che invece ieri un quotidiano ha riportato con parole che attribuiscono a Giusti la responsabilità del suicidio. «Non mi rassegno a questa morte – ha affermato il vescovo –. Per un padre perdere un figlio è una sofferenza inaudita. Mi chiedo come ha fatto il giornalista a conoscere questi scritti e peggio ancora se qualcuno ne fosse stato già a conoscenza: se avesse parlato forse potevamo salvare la vita di quest’uomo». Alcuni giornali hanno fatto riferimento anche a testamenti ritrovati in parrocchia e firmati da don Ezio Morosi, anziano predecessore e padre spirituale di don Carlo, il quale lo aveva aiutato nella gestione dei suoi risparmi. Il giudice aveva poi nominato tutori i fratelli di don Ezio.