C’era una volta la buona educazione. Il
bon ton, almeno per quel che riguarda il linguaggio, sembra essere diventata merce sempre più rara in politica. Nel confronto tra i partiti, infatti, pare che la parolaccia abbia preso il sopravvento, persino su quell’argomentare tanto caro ai politici della Prima Repubblica.Tra le intemperanze verbali è arrivata buon’ultima, in ordine di tempo, quella che il leader leghista Umberto Bossi ha indirizzato, senza troppe perifrasi, all’ex alleato Pier Ferdinando Casini, bollandolo come uno str..., «quel che rimane dei democristiani, di quei furfanti e farabutti che tradivano il Nord», in risposta al «trafficante di banche e quote latte» che il leader centrista aveva dedicato al ministro delle Riforme.Ma è solo l’episodio più recente di un involgarimento che sembra aver contagiato tutto l’arco parlamentare. Qualche mese fa, il leader del Pd Pierluigi Bersani ha attaccato il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini accusandola di rompere i c... Qualche settimana dopo l’ex premier Massimo D’Alema ha perso le staffe in tv, punzecchiato dal condirettore del
Giornale Alessandro Sallusti, definito «mascalzone e farabutto» e invitato ad andare «a farsi f...».In tempi recenti, a "sdoganare" la parolaccia è stato anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che fece clamore nel 2006, durante la campagna elettorale delle Politiche quando esclamò, all’indirizzo degli elettori del centrosinistra: «Ho troppa stima per l’intelligenza degli italiani per credere che ci possano essere in giro tanti c... che votano per il proprio disinteresse». Una chiamata alle armi per il popolo del centrodestra, avvenuta brandendo l’arma impropria della parolaccia. Solo pochi giorni prima nel faccia a faccia televisivo all’americana con Prodi, i due se l’erano cantate a vicenda davanti alla telecamera a colpi di «ubriaco», «utile idiota della sinistra», «poveraccio», «coniglio».E pensare che sessant’anni fa, nei palazzi della politica, era tutta un’altra storia: certe espressioni non erano neppure immaginabili. Nel 1948, agli albori dell’Italia repubblicana e in piena campagna elettorale, due mostri sacri della politica si insultavano con epiteti che oggi farebbero sorridere: «È un agnello dal piede caprino», diceva Alcide De Gasperi del leader comunista Palmiro Togliatti, che gli rispondeva accusandolo di essere «uomo di non troppa grande cultura». Parole di classe, rispetto a quelle di oggi.