I costi della politica. Parlamento Ue, «navetta» da un miliardo
Sono le nove del mattino di un giorno qualunque. C’è un sole accecante che esalta la bellezza di vetro e d’acciaio della sede del Parlamento europeo, dedicato a Louise Weiss, paladina alsaziana della democrazia e degli ideali comunitari. È la 'casa' e soprattutto il 'cuore' dell’Europa. Quello splendidamente rappresentato dall’artista Ludmila Tcherina nella scultura posta all’ingresso del palazzo inaugurato nel dicembre del 1999 dagli allora presidenti della repubblica francese, Jacques Chìrac, e del Parlamento europeo, Nicole Fontaine. In un giorno qualunque, la sede dei parlamentari che 400 milioni di cittadini europei di 28 Paesi voteranno nel corso di questa settimana, è un deserto. Nel piazzale rimbombano i saltelli di un bambino che gioca, sotto gli occhi divertiti di papà, fra le aste delle bandiere che sventolano con fierezza. Qui i 766 Mep (dalla prossima legislatura 751) vengono soltanto quattro giorni al mese, per le sedute plenarie. Gli altri 26 stanno (più o meno) a Bruxelles. Perché nella capitale belga si lavora nelle commissioni, si preparano i documenti, ci si confronta. Poi per votare, ecco, si chiudono i trolley e si va a Strasburgo (mentre la terza sede, quella di Lussemburgo è solo amministrativa). Una 'navette' che costa la bellezza (o la bruttezza) di 220 milioni all’anno. Più di un miliardo a legislatura. Il 10% del bilancio annuale del Pe. Senza considerare le spese per tutto il contorno, l’indotto, dagli osservatori alla stampa, con un altro significativo 'incendio' di risorse. Il 'circo itinerante' riguarda persone e cose: perché a trasferirsi a Strasburgo per quattro giorni è l’intera burocrazia di Bruxelles. Enormi tir fanno la spola per 400 chilometri (con un danno ambientale di 11-19mila tonnellate di Co2 prodotte) trasportando pesanti valigioni con i faldoni necessari ai 5mila funzionari, ai 766 deputati e ai loro assistenti che sempre per quattro giorni allestiscono i propri uffici nella torre più alta. Uno a testa, con divano-letto, scrivania, bagno e tutto l’occorrente per lavorare. Un retaggio della 'vecchia' Europa, decisamente antistorico. La cittadina alsaziana, simbolo della riconciliazione franco-tedesca, venne scelta nel 1951 come sede dell’Assemblea Parlamentare della Ceca. E da allora ha resistito a tutte le epoche, fino all’allargamento a 28 stati della nuova Ue. Con il paradosso che il 40% dei deputati per raggiungere Strasburgo deve anche fare due scali aerei... E sebbene la 'navette' non piaccia alla maggioranza degli stessi deputati, e si ripetano le iniziative e i segnali trasversali per eliminare la doppia sede, addirittura con una risoluzione (non vincolante), la questione non è di facile soluzione a causa del veto francese (anche questo forse antistorico). Il presidente francese, François Hollande, per la verità, ha provato lo scorso febbraio a fare un passo in avanti, aprendo alla possibilità che la Strasburgo possa diventare la sede dell’«Università europea». Ma poi non è arrivata la proposta ufficiale in Consiglio, probabilmente, per equilibri interni, e tutto è rimasto com’era. Così in un giorno qualunque, senza deputati, funzionari e collaboratori, senza giornalisti , osservatori, associazioni e lobbisti, a varcare le soglie del piazzale sono soltanto mezzi di servizio o di ditte fornitrici. Ci sono interventi di manutenzione da fare, dal prato ai piccoli, continui lavori che una struttura di questa portata comporta. Poche le luci accese negli uffici, mentre un gruppo di donne timbra dopo il turno mattutino delle pulizie. Chiusi gli accessi stampa, vietate le visite personali, il Parlamento vuoto può essere visitato solo da gruppi organizzati, prenotando con due-tre mesi di anticipo. In questo periodo, arrivano tante scolaresche italiane per le gite d’istruzione. Ne incontriamo diverse fra qui e il centro della deliziosa cittadina patrimonio dell’umanità Unesco. Una terza media di Mantova, un altro gruppo da Rosolina (Rovigo). Proprio davanti al Parlamento troviamo una classe che arriva dalla provincia di Brindisi, l’Europa dal tacco d’Italia sembra lontana. Ma proprio per questo è un 'mito'. Hanno dovuto fare una traversata di millecinquecento chilometri per essere nel cuore dell’Ue. «Ragazzi, non siete emozionati?», chiede la professoressa. Parte un coro di «Siii». «Potremo dire di esserci stati!», dice raggiante il più spigliato. C’è grande attesa. C’è tutto l’entusiasmo dei ragazzi che in questa Europa credono. E poco importa se il palazzo è vuoto. Sanno che non ci sono attività. E non si chiedono dove sono i 766 deputati e i loro assistenti, e i funzionari, e i dipendenti, e i giornalisti. Semplicemente, «non c’è la plenaria». In quel caso, alle 9 del mattino, c’è un flusso continuo di funzionari, operatori, dipendenti, funzionari, giornalisti. I tram sono affollati e una coda di taxi e di transfert è pronta ad andare avanti e indietro per Strasburgo e tutto l’hinterland, in hotel ovviamente pieni con prezzi «lievitati» anche del 150%. Ma questo i ragazzi che credono nell’Europa degli ideali, non lo sanno. A loro lasciamo intatta la genuinità del sogno europeo sui pilastri che oltre sessant’anni fa hanno posto i padri fondatori. Un sogno a volte tradito, nelle pieghe della burocrazia e delle politiche economiche e monetarie degli ultimi decenni. Di logiche troppo statali e poco solidali. Di un’Europa a più velocità, lontana dallo spirito dei Popoli che anima un’altra istituzione che abita sempre qui a Strasburgo, il Consiglio d’Europa e la Corte europea dei diritti dell’Uomo. Istituzioni che sì, fanno della città alsaziana la capitale dell’Europa. Quella vera. Forse la nuova legislatura potrebbe partire da questo. Davanti alla sede della Regione dell’Alsazia, in questa città a misura di famiglia e di giovani, campeggia uno slogan del grande Antoine de Saint-Exupéry:«Non si tratta di prevedere il futuro. Ma di renderlo possibile». E forse avere a Strasburgo la sede di un’università europea, darebbe alla perla dell’Alsazia un lustro e un ruolo ancora più forte. Il centro delle idee, dei diritti e del sapere. Per rendere possibile un avvenire migliore ai suoi figli, alle nuove generazioni. Ai ragazzi italiani in gita, come al piccolo che gioca sul piazzale vuoto. E al piccolo 'Milàn', algerino di tre mesi che con papà e mamma (con il velo), ci siede accanto sul treno che ci riporta via da Strasburgo. L’Europa del futuro sarà anche la sua.