Il caso. Il Parlamento europeo attacca l'Italia per la «retorica antigender»
Assemblea plenaria del Parlamento europeo
Il Parlamento Europeo «condanna fermamente» l’Italia, o meglio la sua leadership, per la «retorica» su persone omosessuali e transgender. È un attacco frontale anche a Giorgia Meloni quello che arriva attraverso un emendamento presentato da Verdi e Sinistra, durante la plenaria a Strasburgo, a una risoluzione per il resto tutta incentrata sull’Uganda. Paese nel quale si discute un disegno di legge che prevede la pena di morte, l’ergastolo o fino a 20 anni di carcere per i reati di “omosessualità” o la sua “promozione”.
Al centro è il paragrafo 19, nel quale il Parlamento «esprime preoccupazione per gli attuali movimenti retorici anti-diritti, anti-gender e anti-Lgbtiq a livello globale, alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche nell'Ue», ritenendo che «tali movimenti ostacolino notevolmente gli sforzi volti a conseguire la depenalizzazione universale dell'omosessualità e dell'identità transgender, in quanto legittimano la retorica secondo cui le persone Lgbtiq sono un'ideologia anziché esseri umani». E, soprattutto, «condanna fermamente la diffusione di tale retorica da parte di alcuni influenti leader politici e governi nell'Ue, come nel caso di Ungheria, Polonia e Italia». L’emendamento ha aggiunto la specificazione dei tre Paesi, non citati nella versione originaria.
L’emendamento è passato di misura, 282 sì, 235 no, 10 astenuti. Il voto è avvenuto senza chiamata nominale per cui non c’è un elenco dei nominativi. Quel che si sa è che i vertici del gruppo del Ppe avevano dato mandato di votare no, motivandolo soprattutto con l’assenza di «motivi d’urgenza». In realtà si è assistito all’ennesima spaccatura del Ppe (Forza Italia ha ovviamente votato contro). Il gruppo dei Socialisti e democratici (incluso il Pd) dovrebbe aver votato abbastanza compatto a favore, al pari del M5s (non iscritti). A favore ovviamente i proponenti (Verdi e Sinistra), la destra dovrebbe aver votato compatta contro.
Certo è comunque che la divisione praticamente a metà del Parlamento Europeo sull’emendamento – un ennesimo esempio di spaccatura della “maggioranza Ursula” (quella che elesse Von der Leyen alla presidenza della Commissione) - non si è rispecchiata nel voto (questo sì nominale) sulla risoluzione nel suo complesso, approvata a larga maggioranza (416 sì, 62 no e 36 astensioni). Tra i no buona parte dei Conservatori (tra cui Fdi), l’intero gruppo Identità e democrazia (gli euroscettici di cui fa parte la Lega), due eurodeputati di Forza Italia. Tra gli astenuti il resto dei forzisti.
Il centrodestra è furibondo. «È indegno e indecente – ha tuonato la leghista Susanna Ceccardi - che ci siano forze politiche, come la sinistra europea, che mettano sullo stesso piano la nostra democrazia e sistemi autoritari e repressivi come l'Uganda». E l’eurodeputato di Fdi, Nicola Procaccini, denuncia «l'ennesimo comportamento vile e disonesto da parte delle sinistre europee» che «hanno strumentalmente inserito un emendamento per attaccare politici e governi italiani, ma anche di Polonia e Ungheria, sui diritti civili».
Soddisfazione, neanche a dirlo, sull’altro fronte. Il voto, ha dichiarato Brando Benifei, presidente del gruppo Pd a Strasburgo, «è un grave smacco per Giorgia Meloni, che da tempo cerca di costruire senza successo una sua leadership europea, ma anche un monito: l’Italia, agli occhi dell’Unione Europea, viene associata sempre più ai governi nazionalisti ungheresi e polacchi». «Le destre al governo – dichiara anche Fabio Massimo Castaldo (M5s) - stanno rapidamente picconando i diritti civili, diffondendo l’odio sociale e istituzionalizzando la discriminazione, come nel caso vergognoso dello stop alla registrazione dei certificati di nascita dei figli di coppie omogenitoriali».