Attualità

IL REFERENDUM SUI FINANZIAMENTI. Paritarie a Bologna sfida del buon senso

Lucia Bellaspiga sabato 25 maggio 2013
Se la Bologna di questi giorni deve essere letta come "laboratorio politico" di ciò che ci aspetta nel futuro d’Italia, l’immagine che ne esce è di un tutti contro tutti che frantuma il centro-sinistra, inaugurando alleanze inedite tra avversari storici. Oggetto del contendere i contributi (minimi) che da vent’anni il Comune eroga alle scuole materne paritarie gestite da privati. Un sistema scolastico integrato che per Bologna è sempre stato il fiore all’occhiello, garantendo liste d’attesa minime (quasi 10mila bambini accolti, solo un centinaio in lista) e dando anche alle famiglie meno abbienti la possibilità di iscrivere i piccoli. Non solo: un sistema di convenzioni pubblico-privato voluto all’epoca dai sindaci di sinistra e oggi confermato dal sindaco del Pd, Virginio Merola, appoggiato dal suo partito (in testa Romano Prodi, ieri seguito da alcuni parlamentari pd che hanno annunciato la loro scelta in una nota: Stefano Lepri, Francesca Puglisi, Alfredo Bazoli, Gianluca Benamati, Luigi Bobba, Lorenza Bonaccorsi, Enrico Borghi, Maria Elena Boschi, Laura Cantini, Ernesto Carbone, Piergiorgio Carrescia, Roberto Cociancich, Stefano Collina, Mauro Del Barba, Davide Ermini, Nicoletta Favero, Silvia Fregolent, Rosa Maria Di Giorgi, Vanna Iori, Andrea Marcucci, Giovanna Martelli, Flavia Nardelli, Edo Patriarca, Matteo Richetti, Mino Taricco) insieme a Pdl, Lega, Udc e Scelta Civica. Eppure domani la cittadinanza sarà chiamata a dire la sua con un referendum consultivo costato la bellezza di 600mila euro, promosso dal comitato "Articolo 33", che è sostenuto da Sel e M5S.Una bella confusione, insomma, per chi è abituato a "obbedire" agli schieramenti senza approfondire le tematiche. Così, complice un quesito referendario che più fumoso non si potrebbe, i cittadini si trovano a dover scegliere tra opzione A (taglio netto dei contributi alle materne paritarie) e opzione B (conservazione del sistema integrato perfettamente funzionante) spesso senza aver chiaro il quadro: «Il sindaco chiede di votare B? Ma ne è sicura?», si sorprende un bolognese davanti a uno dei banchetti che fanno volantinaggio per l’opzione B. È dipendente comunale e domenica sarà scrutatore, ma non comprende perché «Vendola dovrebbe attaccare la nostra amministrazione di sinistra, mi sembra tutto molto demagogico». Di sinistra si dichiara anche Lauro Bonora, che però si domanda «perché cambiare qualcosa che funziona e fa risparmiare! Servizio pubblico non significa necessariamente statale: noi a Bologna abbiamo scuole materne statali, comunali e a gestione privata. Perché dovremmo rompere un equilibrio perfetto?».I conti li fa presto - davanti al banchetto pro opzione A installato in Piazza Maggiore - Gabriele Giordani, imprenditore e padre di tre bambini, discutendo con chi gli chiede di votare A ma "dimentica" di spiegare che cosa una vittoria di tal segno comporterebbe: «Il Comune di Bologna eroga per tutte le scuole materne che ha (statali, comunali e di iniziativa privata) 37 milioni di euro l’anno. Di questi, 35 milioni vanno alle materne comunali, 1 milione soltanto a quelle rette da privati, quasi sempre di matrice cattolica, e 1 milione alle statali. Dunque alle materne paritarie va meno del 3% delle risorse... eppure queste accolgono non il 3% dei bambini bolognesi, come si potrebbe arguire, ma ben il 21% (1.700 bambini). Direi che per il Comune è un ottimo affare». Non solo: ogni bambino costa alle casse municipali ben 7.000 euro l’anno se è iscritto in una materna comunale, soltanto 600 invece se è iscritto nelle materne paritarie promosse da soggetti privati. Cosa succederebbe se, come vogliono i promotori del referendum, queste ultime fossero costrette a chiudere i battenti? «Il Comune dovrebbe riassorbire di corsa i 1.700 bambini rimasti sulla strada, cosa già di per sé impossibile dato che non ci sono posti, e spendere per ognuno 7.000 euro anziché 600... Ha senso questo?».«Buon senso» è l’appello che più ricorre nella bocca dei cittadini, almeno quando conoscono la realtà: «Sono qui per avere tutte le informazioni sulla A" – si presenta invece una signora –. Della B non voglio sapere nulla, tanto voto A»... La logica frana anche nelle motivazioni: «Quando sento che le materne comunali vanno allo sfascio perché i soldi si danno alle private mi viene un nodo in gola». Che il Comune grazie proprio alle convenzioni con le "private" risparmi dodici volte tanto non ha grande importanza nemmeno per Liana Cacciari, volontaria al banchetto della A: «È vero, ma sui bambini non si fa economia!», ribatte. Nemmeno se l’"economia" significa che così il Comune può risparmiare ben 12 milioni di euro e investirli eventualmente nelle proprie scuole. «La qualità delle materne private – ammette – è eccellente, ma la scuola deve essere laica e chi vuole una educazione religiosa paghi».«Posizione classista», commenta Paola Masetti, madre di due bambini che ha iscritto alla materna di Maria Ausiliatrice (Don Bosco): «Si parla sempre più spesso di emergenza educativa, poi si vogliono taglieggiare proprio le scuole più attente ai valori? Io posso mandare qui i miei figli solo grazie ai contributi del Comune, che - lo ricordo - alla fine vanno a noi familiari, garantendo quella pluralità formativa che la Costituzione garantisce. Per me 200 euro di retta sono già un sacrificio, se vincesse la A andremmo a pagare il doppio e non ce la faremmo».«I cosiddetti vip, da Rodotà a Guccini, si sono schierati contro la B, come se si trattasse di una guerra tra pubblico e privato – sbotta Giorgio, nonno di due bimbi –, ma loro sono milionari, cosa ne sanno della vita concreta? Certo non hanno il problema di dove lasciare i bambini... Disconoscono una realtà emiliano-romagnola del mondo cooperativo che da secoli è il nostro vanto».