Cresce col passare dei giorni il clamore legato al caso delle "
Panama papers", le carte di Panama. Un
elenco di
centinaia di nomi, anche famosi, di tutto il mondo che avrebbero beni di varia natura nei
paradisi fiscali. Pratica, questa, di solito legata la desiderio di occultare ricchezze al fisco della propria nazione. Tra questi nomi risultano, secondo
l'Espresso on line, anche
Barbara D'Urso,
Carlo Verdone,
Luca Cordero di Montezemolo, lo stilista
Valentino.
Il settimanale del
Gruppo Editoriale L'Espresso, che possiede anche La
Repubblica e numerosi quotidiani locali, ha annunciato sul sito la pubblicazione di questi nomi, insieme ad altri, nell'edizione in edicola venerdì 8 aprile. In un'inchiesta - spiega lo stesso settimanale -, saranno pubblicati i primi 100 nomi di
italiani che compaiono nell'archivio ottenuto dall'
International Consortium of Investigative Journalists (
Icij).
In questa lista, quindi, spiega l'Espresso, compare anche
Maria Carmela D'Urso, nome all'anagrafe della presentatrice tv, che, si afferma, "risulta come 'director' della società Melrose Street Ltd, registrata nel 2006 alle isole Seychelles".
Immediata la reazione di D'Urso. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera online, il suo legale ha diffidato formalmente il settimanale "dal divulgare notizie che appaiono lacunose e gravemente lesive della sua immagine", chiarendo che "la società in questione era stata aperta ai fini di un'operazione immobiliare che la D'Urso intendeva compiere all'estero; operazione che non si era poi concretizzata. La società era conseguentemente sempre rimasta inattiva, poi ufficialmente chiusa nel 2012".
C'è poi anche
Carlo Verdone tra gli italiani citati nell'archivio dello studio legale panamense
Mossack Fonseca al centro delle rivelazioni
'Panama Papers',
sempre secondo quanto scrive L'Espresso online. Secondo il settimanale il popolare attore e regista romano risulta titolare di una offshore registrata a
Panama, la Athilith Real Estate. Interpellato attraverso il suo avvocato, Verdone si è detto "sorpreso di essere accostato a una società con sede a Panama", e che "non ha idea dei motivi per cui sia stata costituita". I legali di Verdono poi scrivono: "Naturalmente Carlo Verdone tutelerà la propria rispettabilità in
tutte le sedi giudiziarie".
Lo stilista
Valentino, insieme con il suo socio
Giancarlo Giammetti, è invece
associato a due sigle delle Isole Vergini britanniche, la Jarra
Overseas e la Paramour finance, scrive ancora il settimanale.
Dal canto suo
Valentino ha però fatto sapere attraverso i suoi legali
di essere residente a
Londra da oltre 10 anni.
Luca Cordero di Montezemolo ha replicato in merito al suo coinvolgimento nel caso "
Panama papers", intervendo al Consiglio di amministrazione di
Unicredit: "In merito alla società panamense e al conto associati al mio nome, ho avuto modo di ricostruire, trattandosi di nove anni fa, periodo in cui ero fortemente
impegnato, tra l'altro, in Confindustria, Fiat e Ferrari, che
mi furono proposti dai miei consulenti finanziari di allora in
vista di investimenti che non furono poi mai realizzati. Posso
quindi confermare che non possiedo alcuna società off shore né
alcun conto estero e, soprattutto, che non ho commesso alcun illecito".
"Panama papers", le reazioni nel mondo.
Panama. Il governo di Panama ha annunciato la
creazione di una commissione di esperti per cercare di
migliorare la trasparenza nel settore della finanza offshore del
Paese: lo riporta la Bbc online.
La decisione segue la pubblicazione di documenti interni
dello studio di avvocati panamense Mossack Fonseca, utilizzato
dai super-ricchi del pianeta per nascondere al fisco ingenti
somme di denaro.
"Il governo panamense, attraverso il nostro ministero degli
Esteri, creerà una commissione indipendente di esperti nazionali
e internazionali", ha detto in un discorso tv il presidente Juan
Carlos Varela, aggiungendo che Panama lavorerà con altri Paesi
sulle informazioni contenute nelle rivelazioni.
Gli esperti, ha spiegato Varela, esamineranno le pratiche del
settore con l'obiettivo di proporre misure che possano
rafforzare la trasparenza dei sistemi finanziario e
legale".
Regno Unito. La rivelazione è di quelle
imbarazzanti, tanto più sullo sfondo dei sospetti innescati dai
cosiddetti 'Panama Papers' sul patrimonio offshore del suo
defunto padre. Ma a sostenere l'accusa contro
David Cameron è
una fonte autorevole, il
Financial Times, organo di riferimento
della
City: secondo il giornale, il primo ministro conservatore
britannico intervenne personalmente tre anni fa in sede
Ue per
limitare l'impatto di norme anti-riciclaggio e anti-elusione.
La vicenda risale al 2013 ed è testimoniata da una lettera (che il quotidiano inglese riferisce di aver potuto ora vedere) nella quale
Cameron
si rivolse all'allora presidente del Consiglio Europeo,
Herman
Van Rompuy, per invocare un alleggerimento della direttiva che
mirava a sollevare il velo di riservatezza sui beneficiari di
trust e fondi offshore. Alleggerimento destinato secondo il
giornale a creare di fatto "possibili scappatoie", utilizzabili
a parere di altri governi europei anche dagli evasori.
Il Financial Times nota che sebbene
Cameron si sia sempre presentato come
un campione della trasparenza sul fronte delle tasse, nella
lettera a Von Rompuy chiese apertamente un trattamento di favore
su una norma pensata a
Bruxelles per contrastare il fenomeno del
riciclaggio di denaro, argomentando che un certo tipo di trust
era usato largamente in
Gran Bretagna per questioni ereditarie e
non andava penalizzato oltre misura.
"È importante - scriveva Cameron all'epoca - riconoscere una differenza fra aziende e trust. Ciò significa che una soluzione disegnata per colpire
potenziali abusi relativi alle aziende, come i registri pubblici
centrali, possa non essere appropriata a livello generale". Parole scottanti, se lette ora alla luce del sospetto che lo stesso Cameron abbia potuto magari ereditare quanto depositato nella società offshore creata a suo tempo dal padre Ian.
Francia. Una delle sedi parigine della
Société Générale, una delle banche francesi coinvolte
nell'inchiesta dei Panama papers, è stata presa di mira questa
mattina da
Attac, un'associazione francese no-global. I
militanti hanno bloccato le porte d'accesso alla banca sulla rue
Réaumur, nel cuore della capitale, e hanno lanciato un appello
affinché vengano bloccate tutte le 103 agenzie di SocGen
specializzate in investimenti finanziari presenti sul territorio
della République. L'associazione chiede, tra l'altro, "il
divieto alle banche impiantante in Francia di proseguire le loro
attività nei paradisi fiscali". La
Société générale è nella 'top
5' delle banche che hanno creato il più grande numero di società
offshore attraverso lo studio panamense
Mossack Fonseca.
L'inchiesta dei Panama Papers ha rivelato che l'istituto
transalpino ha fatto immatricolare 979 strutture ripartite in
Paesi come Lussemburgo, Svizzera, Bahamas e Principato di
Monaco.
Due milioni di euro e lingotti d'oro? "È tutto folklore". Così
Jean-Marie Le Pen, ex presidente e fondatore del
Front National, intervistato dal Corriere della
Sera per il suo coinvolgimento nello scandalo dei Panama Papers
per un presunto "
tesoro" nascosto nei conti offshore. "Nego tutto in blocco", "non ho neanche una linea di difesa su questo cosiddetto scandalo di Panama. Non rispondo a insinuazioni, calunnie, pettegolezzi", dice. "Con i conti
digitali si trasferiscono miliardi con un clic, ma i lingotti
colpiscono di più l'immaginazione", sottolinea. "A proposito, ma
non si era detto che la modernità era la libera circolazione
delle persone, dei capitali?". Anche in Europa abbiamo "
paradisi
fiscali", prosegue, "Da Londra a Guernsey al Lussemburgo... Se
ci sono dei paradisi fiscali è perché ci sono degli inferni
fiscali. La Francia ne è uno, con il 46% di tasso di prelievo".
"Comunque, finora la gente ha nascosto i soldi, adesso
nasconderà anche se stessa. Dopo l'evasione avremo l'emigrazione
fiscale".
E a proposito della condanna a pagare 30mila euro di multa
per le affermazioni sulle camere a gas (le ha definite "un
dettaglio della Storia", ndr), Le Pen dice che "la libertà di
espressione in Francia è estremamente limitata". "La volontà
persecutoria è evidente", prosegue. "Sono oggetto di cinque
ingiunzioni fiscali. Sono venuti qui a perquisire il mio
ufficio, hanno spaccato la cassaforte, mi hanno sequestrato il
computer. Poi c'è la denuncia del Parlamento europeo, che vuole
360mila euro per il mio assistente che avrebbe lavorato tre
settimane su 5 anni. È un mondo in decomposizione, che se la fa
addosso mentre i barbari non sono alle porte, sono già
entrati".