Funerali. L'arcivescovo: «La responsabilità della morte di Thomas è di noi tutti»
undefined
Un’assunzione di responsabilità collettiva nel tornare a prenderci cura dei giovani trascurati. L’ha invocata con fermezza l’arcivescovo di Pescara-Penne, monsignor Tommaso Valentinetti, presiedendo il rito funebre del 16enne Thomas Christopher Luciani, ucciso con 25 coltellate, la scorsa domenica, in un anfratto retrostante il Parco “Baden Powell” in pieno centro a Pescara, per un piccolo debito di droga di 250 euro. I presunti assassini, che subito dopo l’omicidio sono andati a fare il bagno al mare come se nulla fosse, sono due suoi coetanei.
Una tragedia che ha lasciato sgomente le comunità di Pescara e quella di Rosciano, piccola località dell’entroterra dove Thomas Christopher abitava con la nonna fin da quando aveva tre anni e mezzo, unite dal lutto cittadino rispettivamente proclamato dai sindaci Carlo Masci e Simone Palozzo. Proprio il piccolo borgo pescarese, in una parrocchia dell’Assunzione della Beata Vergine Maria gremita all’inverosimile, ha ospitato le esequie del giovanissimo la cui salma è entrata custodita in una bara bianca. «Sarai sempre parte di me. Non potrò mai dimenticare il tuo sorriso. Ti amo», si leggeva sulla maglia della fidanzatina del ragazzo. Lacrime e il pianto a dirotto di parenti e amici hanno accolto in chiesa il feretro di Crox - questo il suo soprannome per tutti -, salutato all’uscita da un lungo applauso.
Alla cerimonia hanno preso parte centinaia di persone, molte delle quali costrette a rimanere all’esterno della chiesa. Sulle note della canzone di Ultimo, “Rondini al guinzaglio”, sono stati lanciati in aria palloncini bianchi e rossi. Tra i presenti alle esequie anche don Antonio Coluccia, il prete coraggio di San Basilio di Roma che vive sotto scorta. C’erano, tra gli altri, il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, il prefetto di Pescara, Flavio Ferdani, il questore Carlo Solimene, il sindaco di Rosciano, Simone Palozzo. Gli amici di Crox indossavano magliette in sua memoria.
«La responsabilità di un atto così violento – esordisce l’arcivescovo Valentinetti –, di una morte così precoce, a neanche 17 anni, chi se la porta addosso? Voi direte sicuramente chi ha compiuto i gesti che non doveva compiere. Se avvengono questi fatti, se i ragazzi diventano incontrollabili, io credo che ci sia una dimensione di responsabilità che tutti, indistintamente, dobbiamo assumerci». Inutile, per il presule, fare lo scaricabarile: «Non dobbiamo puntare il dito l’uno contro l’altro», l’ammonimento. Qui il paragone con quanto narrato nella prima lettura, tratta dal secondo libro dei Re: «Sedecìa – ricorda l’arcivescovo di Pescara-Penne –, nel momento del pericolo ha abbandonato il popolo, e qui, molto spesso, si abbandonano i ragazzi. Non è così, l’assunzione di responsabilità è di tutti noi. Da parte delle istituzioni, da parte della scuola, da parte delle famiglie, da parte della Chiesa, da parte di tutti. Un sussulto di responsabilità, perché queste cose non sono giustificabili, non sono comprensibili».
Ma non tutto è perduto: «La presenza di tanti ragazzi, di tanti giovani, di tanti fiori – testimonia il presule – portati fino a ieri nel luogo dove è avvenuto questo evento, testimoniano che si può avere un sussulto di umanità, di verità, che faccia cadere le armi dalle mani dei violenti, che faccia cadere dalle mani la nuova “lebbra” che sta attanagliando la gioventù, la droga». Quindi un nuovo riferimento alla pagina del Vangelo, in cui l’evangelista Matteo narra la guarigione di un lebbroso da parte di Gesù, per lanciare un nuovo appello alla comunità: « Un lebbroso non si poteva toccare, era impuro, eppure Gesù lo tocca – osserva l’arcivescovo –. Ma quante volte abbiamo pensato che i fratelli e le sorelle, che purtroppo vivono un disagio, sono impuri e quindi stiamo lontani. E invece dovremmo avere il coraggio di riscendere per la strada e toccare questa realtà». Poi l’appello alle istituzioni, affinché stronchino il traffico di stupefacenti: «Fermino i mercanti di morte», tuona Valentinetti.
Infine ancora una preghiera per Christopher, ma anche per i suoi carnefici: «Perché il Signore – auspica Valentinetti – lo accolga tra le sue braccia e chiuda quelle ferite martoriate dalle coltellate. Preghiamo anche per chi le ha inferte, perché si ravveda». L’ultima parola di vicinanza alla nonna Olga, che ha cresciuto il nipotino come una madre e che, al termine del rito funebre, ha chiesto ai giovani di «cambiare questo mondo marcio». Un momento commovente, tra i tanti.