La storia. L’Italia dei visti impossibili pure per le nozze. Ministro, che si fa?
Ousman e Roberta (fonte Facebook)
Questa storia è finita bene. Il Comune si è fatto da garante e il 30 giugno il visto è arrivato (VAI ALL'ARTICOLO).
Andrà all’altare da solo il 3 luglio. Perché sua madre, Jainaba, che è rimasta nel suo Paese d’origine, non potrà raggiungerlo in Italia per 'rischio migratorio'. Le hanno negato il permesso d’ingresso. Un permesso temporaneo, di soli 30 giorni, quello turistico, che di solito non si nega a nessuno. Ma a lei è stato negato. È la storia di Roberta e Ousman e della madre di lui. Due giovani ragazzi, che si sono conosciuti quattro anni fa. Ed è subito scoppiato l’amore. Ousman è fuggito dal Gambia, dalla dittatura e dalla guerra civile che ha inginocchiato il suo Paese. Studia e lavora per mantenersi. Nel frattempo ha fatto la richiesta di rifugiato politico che è stata accettata. Ousman ha passaporto e carta d’identità. È uno straniero in regola. Ha un contratto di lavoro.
Lui e Roberta si frequentano e diventano sempre più affiatati. Conosce i genitori di lei e tutta la sua famiglia italiana. Roberta ha conosciuto la nonna di Ousman, un anno fa, in Senegal. Escono con gli stessi amici. Ousman nel frattempo si impegna anche come mediatore culturale, parla bene le lingue ed è molto socievole. A Villanova d’Asti è ben voluto da tutti. E così quando alcuni mesi fa decidono di sposarsi trovano le porte aperte. Ovunque. Tranne nel caso della madre di lui, Jainaba, che vive in Gambia e vorrebbe partecipare alle nozze.
«A marzo abbiamo iniziato le pratiche per chiedere il visto: sua mamma è l’unico genitore in vita – racconta Roberta –. Primo appuntamento in ambasciata l’11 maggio, dicono che manca un foglio. Danno un secondo appuntamento il 25 maggio dove lei porta questo foglio, a mio parere un doppione di altri già compilati, ma va bene». Il 13 giugno la doccia fredda: l’ambasciata italiana a Dakar (in Gambia non c’è una nostra ambasciata) rifiuta definitivamente il visto. «Le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto non sono attendibili» è la motivazione, messa nero su bianco, trasmessa dall’ambasciata.
«Noi non abbiamo chiesto un trasferimento definitivo – si arrabbia Roberta – ma un semplice visto turistico di 30 giorni. Rimaniamo sbalorditi, abbiamo fornito tutta la documentazione richiesta: ho firmato e allegato una fideiussione bancaria, assicurazione sanitaria, atto di proprietà e ospitalità della nostra casa, pubblicazioni di matrimonio, buste paga, cud, documenti personali, tutto pagando bolli, certificati e l’agenzia che ci ha aiutato nella pratica. E nonostante tutto questo, il visto ci è stato rifiutato». Anche il sindaco di Villanova si fa in quattro per aiutarli. Scrive una mail all’ambasciata e insieme a Roberta e Ousman si rivolge alla Prefettura. Niente da fare.
È l’ambasciata che ha la discrezionalità sui visti. Si teme che la donna, approfittando di un visto temporaneo per partecipare al matrimonio del figlio, decida di fermarsi in Italia e di non rientrare più nel suo Paese. Anche Salvatore Fachile, avvocato membro dell’Asgi (l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) ha pochi dubbi: il visto è stato rifiutato per rischio migratorio. «Per legge è l’ambasciata che ha la discrezionalità sul visto – spiega – e lo può negare quando ritiene che esista un 'rischio migratorio'. Rischio che può dedurre dal reddito della persona. È crudele ma legittimo».
È la legge che può essere applicata in modo algido e perfino disumano. Forse, un uomo rigoroso e intelligente come il ministro Enzo Moavero Milanesi può indicare alla sua amministrazione una via ugualmente rispettosa della norma ma al tempo stesso umana.