Crisi demografica. Per la famiglia serve un piano integrato che cambi i comportamenti
L’Italia è un paese in profonda crisi demografica. Il numero medio di figli per donna è persistentemente in fondo alla classifica europea. Gli squilibri prodotti sono tali che abbiamo oggi più ottantenni che nuovi nati. La natalità è l’indicatore più sensibile, nei Paesi più avanzati, alle condizioni oggettive del presente e alle prospettive future. Difficoltà e rinunce delle famiglie si intrecciano anche con le diseguaglianze generazionali, di genere e territoriali. Continuiamo a essere uno dei Paesi con la peggior combinazione di bassa fecondità, bassa occupazione femminile, alto rischio di povertà per le famiglie che vanno oltre il secondo figlio. A crollare negli ultimi anni sono state soprattutto le nascite da parte di genitori sotto i 35 anni.
I Paesi europei con fecondità superiore alla nostra offrono un sistema efficiente di sostegni e servizi per le famiglie: misure che favoriscono l’autonomia abitativa dei giovani, una rete solida di servizi per l’infanzia, misure chiare e facilmente accessibili di sostegno economico alle coppie con figli minori, un processo di continuo monitoraggio e miglioramento delle politiche a favore delle famiglie. Non basta una singola misura e nemmeno una serie di misure settoriali. Serve un sistema integrato e coerente di strumenti a sostegno alle diverse e mutevoli esigenze delle famiglie. Le misure messe in atto devono, inoltre, poter contribuire a cambiare cultura e comportamenti rispetto alle scelte familiari (aspettative di coppia, clima sociale, atteggiamento dei padri, dei datori di lavoro, ecc.). Vanno disegnate e implementate in coerenza con le specificità, anche culturali, del territorio, imparando a valutarne l’impatto.
Quello che altri Paesi che crescono più di noi hanno capito è che le politiche familiari vanno considerate parte integrante delle politiche di sviluppo, che devono anche farsi carico dell’impatto sulle famiglie di ogni provvedimento. L’approccio integrato, scelto da altri Paesi, ha migliorato il clima di fiducia, che favorisce scelte di impegno positivo verso il futuro.
Next generation Eu è un’occasione unica per il nostro Paese per investire su progetti in grado di rigenerare il Paese, superare gli squilibri che ci caratterizzano e avviare una nuova fase di sviluppo mettendo al centro la capacità delle persone di stare in relazione e generare valore comune. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) contiene molte misure singolarmente condivisibili, ma appare debole il disegno che le unisce e non è valorizzata la sinergia tra le parti. Per fare solo un esempio, fra i diversi possibili, il rafforzamento dei servizi per l’infanzia nella prima bozza era una delle linee di intervento della componente “Parità di genere” mentre nell’ultima bozza del PNRR è passato nella componente “Potenziamento delle competenze e diritto allo studio”. Ma qual è la funzione dei nidi? È ampia, interrelata, diversificata. Vanno considerati come punto di partenza di un’offerta formativa di qualità, ma devono anche poter contribuire a ridurre le diseguaglianze di partenza e favorire una conciliazione tra famiglia e lavoro per entrambi i genitori, oltre che il loro compito educativo. Non basta quindi fissare un obiettivo di copertura nazionale: serve anche l’integrazione in un sistema coerente che preveda orari di lavoro flessibile, part time e congedi condivisi, una pianificazione dei tempi di spostamento delle città, una promozione dell’attività di cura sul versante maschile. Diritti e opportunità, conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, condivisione di genere non sono obiettivi indipendenti.
Il Family Act, al di là delle singole misure, ha il suo valore principale nel disegno organico rispetto allo sviluppo sociale ed economico del Paese, che è proprio ciò che finora è più mancato nelle politiche familiari italiane. Non può ora essere frammentato in misure (pure rilevanti) scorporate e realizzate in modo indipendente: l’assegno unico e universale con un proprio percorso autonomo, i servizi per l’infanzia da un’altra parte, i congedi in modo indipendente da tutto il resto; col rischio di rendere più debole e scoordinata l’azione e di perdere l’elemento di cambio di paradigma culturale senza il quale qualsiasi singola misura rischia di rimanere inefficace.
Il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza deve diventare strumento a servizio di riforme di sistema se vuole aiutare il Paese a fare un salto di qualità rispetto ai limiti, alle contraddizioni e agli squilibri del passato. Il Family Act rappresenta una delle più rilevanti riforme di sistema e sviluppo avviate di recente, ma deve essere ancora pienamente attuato. Occorre che il PNRR recepisca, integralmente, non solo le singole azioni ma l'approccio organico e unitario contenuto in questa riforma, rendendolo il punto di riferimento per il ripensamento delle politiche pubbliche integrate. Un approccio che va semmai rafforzato in questo quadro di incertezza e fragilità.
Gli autori sono membri del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale Ministeriale sulla Famiglia