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SANITÀ NELLA BUFERA. Ospedali religiosi del Lazio è allarme: «Futuro in forse»

Emilia Gridà venerdì 30 novembre 2012
Blocco delle prestazioni: una frase del genere, ascoltata nei corridoi di un ospedale, farebbe rabbrividire chiunque. Tra qualche giorno, per la precisione il 6 dicembre, diventerà realtà negli ospedali religiosi di Roma - una costellazione che vale oltre 3mila posti letto e quasi 9mila dipendenti - i quali fanno sapere di non avere altra via d’uscita.
Si chiudono i battenti? Non proprio, ma quasi. Si comincia con lo stop a tutte le prestazioni ambulatoriali e con la limitazione dei ricoveri ordinari di elezione. E non è detto che, se le cose non cambiano, non si vada oltre. Ai cittadini saranno garantite solo le prestazioni d’urgenza (pronto soccorso, rianimazione, oncologia e radioterapia, reparto materno-infantile, chirurgia vascolare non differibile e terapia del dolore). Lo scenario è tutt’altro che confortante, ma se si aggiunge che in queste strutture, nel 2013, si paventano licenziamenti per almeno 800 dipendenti (tra soli medici e infermieri), la situazione diventa drammatica. Sono notizie e cifre comunicate ieri dal presidente dell’Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari), Michele Bellomo, e dai direttori generali degli ospedali religiosi del Lazio.
A tanto non si era mai arrivati e, all’unanimità, si punta il dito contro i decreti regionali n.348 e n.349, i cosiddetti 'decreti Bondi', varati lo scorso 22 novembre dal commissario della sanità del Lazio, e che ghigliottinano i fondi al settore. La riduzione del budget, inflitta agli ospedali religiosi classificati e agli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), è pari al 7% e coinvolge l’ospedale Fatebenefratelli San Giovanni Calibita - Isola Tiberina, il Fatebenefratelli Villa San Pietro, l’ospedale Madre Giuseppina Vannini, il Cristo Re, l’ospedale Regina Apostolorum, l’Idi-San Carlo e l’Irccs Santa Lucia. E nel 2013 il taglio potrebbe arrivare sino al 10%. Giovanni Roberti, direttore sanitario del San Pietro, ha annunciato che si scenderà anche in piazza per far sentire le proprie ragioni.
Non solo: il presidente Bellomo fa sapere che, se l’allarme non dovesse rientrare, «non è escluso il ricorso alla Corte europea per abuso di posizione dominante». «Dal commissario Bondi ci aspettavamo un intervento per ridurre il deficit della Regione Lazio ed eliminare gli sprechi» - commenta Carlo Maria Cellucci, direttore generale dell’ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina - invece è arrivata solo una drastica «riduzione del budget delle nostre strutture». I primi a subirne le conseguenze, come sempre, saranno i cittadini che «avranno più difficoltà ad accedere al Servizio sanitario nazionale e tempi d’attesa più lunghi per le prestazioni».
Al commissario Bondi si rimprovera di non aver convocato nessuno prima di varare il decreto, decreto che è arrivato tra capo e collo a fine novembre quando già, di fatto, la maggior parte delle prestazioni sono state erogate. Non resta che impugnare i decreti Bondi e, ad annunciarlo, è lo stesso Cellucci. D’altronde, continuano all’unanimità i direttori riuniti, gli ospedali classificati «sono gli unici ad essere remunerati sulla base delle prestazioni rese e con tariffari sostanzialmente identici dal 1999». A essere messa sul tavolo è anche l’annosa questione della diversità di trattamento tra strutture pubbliche e private, nonostante la legge (decreto Bindi n. 229/1999, art.1) abbia stabilito l’equiparazione tra le due.