Intervista. Orfini (Pd): «Non si vota, ma si rischia una politica commissariata»
Matteo Orfini.
Matteo Orfini, deputato ed ex presidente del Pd (e già in buoni rapporti con Matteo Renzi), si annovera fra gli italiani che ritengono «incomprensibile e completamente urticante» questa "crisi-non crisi". E vede, come unico sbocco possibile ma anche come rischio di fondo, un nuovo «commissariamento della politica».
Cosa ne pensa di questa situazione?
Penso che in un momento così complicato della storia per il nostro Paese, una classe dirigente dovrebbe avere chiaro l’obiettivo. Ora è quello di tirarlo fuori dalla crisi pandemica limitando il più possibile gli effetti sanitari e socio-economici. Fare questo significa anche sintonizzarsi sul sentimento del Paese, che ora è quello di dolore e sofferenza, ma anche di sempre maggior fatica a resistere psicologicamente. Ciò suggerirebbe a tutti senso di misura.
Cosa direbbe oggi a Matteo Renzi?
Di fermarsi e di lavorare per chiudere questa crisi il prima possibile.
Il leader di Italia Viva non pone comunque problemi reali?
Il fatto è che così anche le ragioni reali di merito appaiono strumentali. Travolte da un un eccesso di chiacchiericcio, di veline e controveline. Tutto fuori misura nella situazione drammatica in cui siamo.
Questo Piano di rilancio costituisce un problema?
Io non sono fra coloro che pensano che tutto stia andando bene. Alcune cose funzionano, altre meno: penso al caos sulle scuole, nonostante siamo a un anno dall’inizio della pandemia, alla scarsa capacità di tracciare i contagi. Anche alla gestione del Recovery. Sì, si è perso tempo. Ma non si può aprire una crisi distruttiva in una fase in cui abbiamo tutti il dovere di costruire. I problemi vanno affrontati, l’immagine però di una politica intenta in una sfida all’Ok Corral non fa bene. Non ci stiamo dimostrando all’altezza del ruolo.
Renzi non crede che con questa compagine si possa gestire un vero rilancio del Paese.
Non ho mai definito Conte un «punto di riferimento» o «un pilastro», non ho mai immaginato l’alleanza con M5s come il progetto su cui costruire il futuro della sinistra italiana. Anzi, è semmai l’alzare eccessivamente il livello di aspettative che può far emergere problemi. Ho sempre considerato questo un governo di larghe intese tra forze alternative. E già difficile raggiungere ogni volta una sintesi positiva governando assieme a Di Maio e a Renzi.
La delega sui servizi segreti è un problema reale?
È un tema posto anche dal Pd. È una questione rilevante di garanzie nell’equilibrio dei poteri del Paese. Ci attendiamo risposte convincenti da Conte.
È ora quindi di cercare altre soluzioni?
Non credo che la situazione migliorerebbe allargando ancora di più la maggioranza a forze ancor più differenti da noi.
E il rimpasto verso un Conte-ter?
Nemmeno io credo che questi siano i ministri migliori del mondo. Che fosse necessario un salto di qualità il Pd lo ha detto ancor prima di Renzi. Può avvenire però solo dentro l’ambito di questa maggioranza. Ritocchi hanno senso se servono a migliorare la qualità della squadra non se sono figli della ricerca di un diverso equilibrio politico.
E un governo a più forte guida politica, tipo Zingaretti o Di Maio?
Mi pare complicato. Per me, poi, un governo Di Maio sarebbe impensabile.
Il Pd "soffre" il fatto che certi temi siano stati posti per primi da Renzi?
Li abbiamo posti anche noi dem. È chiaro che finora il Pd ha svolto un ruolo di equilibrio in questo assetto. Condivido la linea di Zingaretti quando dice che abbiamo l’obbligo di provare a far funzionare questa maggioranza. Penso che il partito debba però assumere sempre più l’iniziativa, in termini di leadership e di definizione dell’agenda. Serve un Pd più protagonista, non solo fattore d’equilibrio.
Quali prospettive vede quindi, in definitiva?
Il punto è se, fra i quattro partiti della coalizione, condividiamo o no l’obiettivo finale. Se sì, tutti gli scenari sono affrontabili: la squadra da migliorare, la maggiore collegialità, l’esigenza di stringere su alcuni dossier. Se c’è invece volontà di rompere per tentare di costruire un’altra maggioranza, l’esito non sarebbe quello delle elezioni - scenario che non esiste - ma il commissariamento della politica. Che vorrebbe dire innanzitutto il fallimento complessivo di una classe dirigente; e poi, nel nostro recente passato, non ha portato nemmeno risultati del tutto positivi.