IL NODO DA SCIOGLIERE. Monti: ora una nuova fase decido dopo Natale
Le pressioni perché restasse in disparte di colpo sono diventate ossessive. All’orecchio del premier giunge l’eco di un pressing asfissiante del Pd sul Colle: «Presidente – alzano i toni i massimi dirigenti democratici –, un anno fa lei ci ha convinto a sostenere quest’avventura garantendo sulla terzietà di Mario Monti. Ora non è più così, e non è corretto. Non accetteremo alchimie dopo il voto...». Da qui a dire che il Quirinale ponga ostacoli ce ne passa. Anche perché se Napolitano ha una riserva in animo, è quella di assicurare al Paese una soluzione per la governabilità in caso di paralisi al Senato dopo il voto. In tal caso, Monti potrebbe tornare cruciale come tecnico 'super partes'. Ma il punto è che quando si parla di correttezza, di «moralità», Mario Monti salta sulla sedia a prescindere da chi ne parla e dai motivi per cui ne parla. Si rabbuia, non lo accetta. Come accaduto dopo le parole di Angelino Alfano alla Camera: gli viene voglia di voltare le spalle e andarsene.
È una giornata che si dipana sul filo dell’assurdo e dell’equivoco. Spuntano scenari come fiocchi di neve. Anche perché sul web, di prima mattina, viene innescata la bomba: «Monti non si candida e non dà l’endorsement a nessuno. Non vuole arrivare quarto dietro Bersani, Berlusconi e Grillo. E con questa melina sta 'perdendo' anche il Quirinale». Palazzo Chigi è tempestato di telefonate: «Non ha deciso, non-ha-deciso, sono stanca di ripeterlo», alza la voce Betti Olivi, la storica portavoce del premier. È vero, Monti userà sino all’ultimo secondo di tempo per riflettere. Anzi, nemmeno domani potrebbe sciogliere le riserve, lasciando alla portavoce il compito di fare una premessa ai cronisti: «Fate tutte le domande che volete, ma sull’impegno politico non risponderà. Il professore sta ancora riflettendo ». Di fatto, si tratterebbe di un rinvio della sua decisione a dopo Natale. E allora, la conferenza stampa di fine anno diverrebbe l’occasione per presentare 'solo' le riforme che ancora servono al Paese, appellandosi al senso di responsabilità di tutti i partiti e delle componenti sociali. La decisione finale sul suo impegno diretto sarebbe poi conseguenza delle risposte che gli arriveranno. La tensione però si taglia a fette.
Anche i partner del cantiere moderato aiutano poco il premier. L’asse Riccardi-Montezemolo si sente d’improvviso senza riferimenti, trapela pure – non confermata – la tentazione di far saltare il contenitore della società civile. E l’Udc ondeggia tra nuove opportunità e paura. Opportunità, perché senza Monti i centristi potrebbero diventare l’unica offerta elettorale per i moderati non berlusconiani. Paura, perché senza Monti è difficile superare lo scoglio del Senato. E non l’hanno aiutato, i suoi 'alleati', quando hanno iniziato a «parlare in libertà» - lamentano a Palazzo Chigi - di liste e candidati. Monti ha letto con sbigottimento di nomi della Prima e della Seconda Repubblica associati al suo progetto. E non l’ha nascosto, chiedendo con voce forte una lista unica con volti nuovi e puliti e pochissimi politici 'presentabili' scelti da lui. Eppure quanto accaduto nei giorni scorsi non è stato cancellato con un colpo di spugna. Le rassicurazioni sul suo impegno ad Angela Merkel, la presenza al Ppe, il vertice con Casini, Cesa, Riccardi e Montezemolo a Palazzo Chigi. È che serve altro tempo per riflettere. E magari per preparare una sorpresa. Perché nella giornata degli umori variabili spunta pure un’altra ipotesi: che Monti abbia voluto allontanare ad arte attese eccessive, tirare un po’ la corda per costringere Casini, Riccardi e Montezemolo ad accettare le sue condizioni e trasformare la discesa in campo in un colpo di teatro dirompente.
Tra tanti dubbi e tanti scenari, è una sola la certezza che Monti ha voluto affidare ieri pomeriggio a uno dei suoi interlocutori: «In qualsiasi caso, farò solo ciò che più serve al Paese». E in serata anche Palazzo Chigi placa ogni fuga in avanti o all’indietro. «Il presidente – dicono dal suo staff – non ha deciso proprio nulla. Siamo allo stesso punto di uno, due, tre giorni fa». Poi la correzione: «Anzi no, qualcosa è cambiato, ora si è dimesso. L’iter istituzionale si è correttamente concluso». Come a dire - ma ogni interpretazione rischia di infrangersi contro un muro - : la sua vera riflessione inizia ora, con tutti gli affari parlamentari sbrigati. E l’esito non è scontato. Per nessuno.