Open day. Dentro le comunità, dove si torna a vivere dalla droga
Occhi azzurri strepitosi che la figlia di 18 mesi le ha rubato, Elena ha 25 anni. A 11 è finita in strada «per colpa di relazioni sbagliate», a 13 anni è entrata in un tunnel fatto di botte, ogni droga, altre botte. Alessandro, venticinquenne anche lui, a 15 piomba in un delirio di droghe, spaccio, reati e poi il carcere, «non erano cose che erano da ragazzino di 16, 17 anni», ricorda. Giulia ha invece di anni ne ha 41, picchiata prima in casa, dopo dai suoi uomini. Porta sulle spalle vent'anni di coca e poi anche altre droghe. «Ho cominciato tardi», dice. «Quando?». «A diciotto anni». «Come... tardi?». «Beh, tardi per come va adesso». Ha due figli nati entrambi in astinenza.
Tutti e tre hanno conosciuto il baratro e non per colpe loro. Tutti e tre si sono o stanno salvando nella comunità "Il Ponte" a Civitavecchia (che fa parte della "Federazione italiana comunità terapeutiche"), fondata nel 1978 don Egidio Smacchia, morto il 23 agosto del 2017. Una delle settanta strutture di accoglienza e recupero aderenti al "Tavolo ecclesiale dipendenze" che sabato scorso e ieri in tutta Italia hanno realizzato l’Open day, cioè hanno aperto le loro porte «per raccontare noi stessi, il lavoro che facciamo, le storie di chi anima le nostre strutture e i nostri progetti». Come hanno spiegato anche sul sito www.condividerestorie.it. «Riteniamo – si legge ancora – che questo nuovo umanesimo sia declinabile in alcune parole chiave: l’accoglienza, l’educare, la profezia, se necessario capace di denuncia, ma agita nei gesti quotidiani».
Festeggia i quarant’anni dalla fondazione in questo 2018. "Il Ponte" accoglie ragazzi da quindici, sedici anni fino ai ventiquattro e in questo momento ce ne sono in tutto settantacinque. C’è anche un programma per mamme tossicodipendenti con bambini e adesso ci sono cinque mamme con sette bambini. Don Egidio Smacchia ripeteva spesso una frase: «Eppure dal disagio nascono risorse...»