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Bergamo. L'uomo in bici fermato per l'omicidio di Sharon Verzeni: «L'ho uccisa io»

Simone Marcer venerdì 30 agosto 2024

La famiglia Verzeni

«Era nel posto sbagliato al momento sbagliato» Sharon Verzeni. «Poteva essere lei, come poteva essere chiunque altro si fosse trovato lì. Non c'è un movente. Non si conoscevano, non c'è alcuna relazione tra la vittima e la persona che è stata fermata per il suo omicidio», ha spiegato la procuratrice Aggiunta di Bergamo Maria Cristina Rota. Moussa Sangare, questo il nome del 31enne fermato, italiano nato da genitori stranieri, residente in un paese vicino, disoccupato, con problemi psichiatrici, quella notte girava con quattro coltelli in tasca (motivo per cui gli è stata contestata la premeditazione). «L'ho fatto soltanto perché mi sentivo spinto a farlo», avrebbe confessato. Prima di accoltellare Sharon Verzeni, avrebbe incrociato due ragazzini di quindici o sedici anni puntando l'arma contro di loro (la procuratrice ha fatto appello affinché si presentino a testimoniare; sono stati inquadrati dalle telecamere). Infine il presunto omicida ha visto la donna che passava, l'ha seguita e l'ha accoltellata; il primo colpo, inferto da dietro, al torace, gli altri tre alla schiena. Poi la fuga, pedalando velocemente in direzione Chignolo d'Isola.

A un mese esatto dall'omicidio, c'è la svolta nel caso Sharon Verzeni. L'uomo fermato non ha precedenti, ma è stato denunciato per maltrattamenti in famiglia: aveva minacciato di accoltellare la sorella puntandole il coltello alla gola. Durante l'interrogatorio ha prima affermato di essere estraneo ai fatti, poi è crollato, aggiungendo di essere dispiaciuto per quel che aveva fatto. Fondamentale per la sua individuazione, oltre alle decine di "terabyte" di memoria delle telecamere passate al setaccio dai carabinieri del Nucleo investigativo e del Ros, la testimonianza di due cittadini stranieri, che hanno descritto l'uomo in bicicletta. Dopo aver confessato, il presunto autore del delitto ha fatto trovare il coltello, che aveva seppellito lungo l'argine dell'Adda, all'altezza di Medolago. Nel fiume è stato trovato, sempre su sua indicazione, anche un sacchetto con gli altri tre coltelli che si era portato dietro quella notte, oltre ai vestiti e alle scarpe che indossava. Nel ceppo della cucina dell'appartamento occupato in cui viveva, a Suisio, un paese vicino, c'erano gli altri due coltelli mancanti.

A un mese dalla morte di nostra figlia, la notizia di oggi ci solleva, anche perché spazza via tutte le speculazioni che sono state fatte sulla vita di Sharon e di Sergio». Nel pomeriggio successivo al fermo di Sangare, avvenuto alle 4.30 di venerdì, Bruno Verzeni, si è avvicinato alla griglia del cancello di casa a Bottanuco, e per l’ultima volta si è sentito in dovere di difendere il genero, Sergio Ruocco, che ha accolto in casa e protetto per un mese da sospetti e illazioni. Da oggi non ce ne sarà più bisogno. «Dopo un mese di incertezza la notizia mi ha dato un po’ di sollievo», ha aggiunto lo stesso Sergio Ruocco. «Vogliamo che l’assurda e violenta morte di Sharon non sia vana e provochi in tutti maggiore sensibilità al tema della sicurezza del nostro vivere», ha concluso il padre della vittima. Qui la vicenda dall'inizio