Bruxelles. Trovato l'accordo a 27 sugli aiuti a Kiev, l'Europa supera la prova di Orban
Attesa per le posizioni del primo ministro ungherese, Viktor Orban, oggi a Bruxelles
C’era attesa per il vertice europeo straordinario di oggi che dovrebbe risultare decisivo sul fronte economico e sulla questione ucraina. L'obiettivo primo era di arrivare a un accordo a ventisette sulla revisione del bilancio pluriennale che - tra l'altro - stanzia 50 miliardi di euro di assistenza finanziaria per l'Ucraina nei prossimi quattro anni. E a quell'accordo si è arrivati, secondo quanto dichiarato dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, convincendo l'Ungheria a votare a favore e scongiurando un pesante fallimento politico per l'Unione che avrebbe rafforzato Putin. Con grande soddisfazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo cui la decisione dimostra «ancora una volta la forte unità dell'Ue», grazie al cui continuo sostegno finanziario «l'Ucraina rafforzerà la stabilità economica e finanziaria a lungo termine, che non è meno importante dell'assistenza militare e della pressione delle sanzioni sulla Russia».
Il premier ungherese, Viktor Orban, fino ad oggi aveva ribadito la sua contrarietà. Il suo ambasciatore a Bruxelles, nell'ultimo round di negoziati con gli altri ventisei colleghi, aveva messo sul tavolo le condizioni per dare il via libera: una revisione annuale con voto all'unanimità dei fondi per l'Ucraina (alla fine sarebbe stata approvata, ma ogni due anni); un'esenzione dal pagamento della propria parte per fare fronte all'aumento dei tassi d'interesse dei prestiti del Next Generation Eu e una proroga di due anni per l'attuazione del Pnrr. Richieste su cui gli sherpa hanno lavorato a lungo, ma che non sembravano accoglibili. In particolare, nessun Paese era intenzionato a fornire a Orban uno strumento di veto per poter ricattare l'Unione europea ogni anno quando il Consiglio sarà chiamato ad approvare all'unanimità fondi per Kiev. Al massimo si sarebbe potuto concedere “un freno di emergenza” per affrontare la questione e dirimerla con un voto a maggioranza qualificata.
Su altre questioni tuttavia emergono elementi tecnici difficili da aggirare. Il pagamento dell'aumento degli interessi - anche se l'Ungheria non riceve ancora erogazioni da parte della Commissione perché non centra gli obiettivi previsti nel suo Pnrr - è una questione di principio. «Intanto è quasi certo che i soldi per pagare gli interessi ci sono già, si tratterebbe al massimo di qualche milione in più che dovrebbe versare l'Ungheria», spiega un diplomatico europeo all’Agi. «C'è però un elemento di principio perché il meccanismo del Recovery è fondato sulla stessa struttura dei fondi di Coesione: contribuiscono tutti, indipendentemente che ricevano o meno fondi dall'Ue. Insomma, applicando lo stesso modello i Paesi ricchi frugali non dovrebbero contribuire ai fondi della Coesione perché loro non ne ricevono nulla». Terza, la richiesta di proroga dei due anni per la realizzazione delle opere e delle riforme del Pnrr. Una concessione che non dispiacerebbe anche ad altri Stati ma proprio per evitare questo scenario e “costringere” i Paesi a rispettare i tempi previsti nei loro piani, la scadenza è stata inserita nella norma sulle risorse proprie. Per cambiarla servono un voto all'unanimità al Consiglio e la ratifica in tutti i ventisette Parlamenti nazionali. Insomma, un'impresa titanica che nessuno vuole davvero intraprendere.
La partita dell’Italia
Il vertice diventa anche un bivio politico per il nostro premier, Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio, finora solida alleata del premier ungherese, da quando è a Palazzo Chigi, pur impegnandosi a presentare una sua visione dell'Europa, ha cominciato un lento avvicinamento al nemico numero uno di Orban, Ursula von der Leyen. E le tensioni a Bruxelles potrebbero segnare un'ulteriore tappa del percorso che porta Meloni e Fratelli d'Italia verso la maggioranza che, dopo le Europee, al Parlamento Ue potrebbe votare la conferma di von der Leyen a capo della Commissione.
La premier arriva a Bruxelles sull'onda delle polemiche per il caso di Ilaria Salis. Un caso che, agli occhi dell'Ue, ha messo ancor più in evidenza la lontananza dell'esecutivo magiaro dagli standard comunitari dello stato di diritto. Meloni, martedì sera, ne ha parlato con Orban in un colloquio telefonico già programmato in vista del Consiglio europeo. Un tema affrontato nel faccia a faccia avuto con il leader ungherese appena giunta ieri a Bruxelles per il vertice straordinario. Un incontro che fa seguito ad altri due colloqui ravvicinati sul dossier migrazione e sull'allargamento. In entrambi i casi (con Orban che aveva al suo fianco il premier polacco Mateusz Morawiecki) finì con un nulla di fatto.