Il viaggio degli ultimi. Lʼodissea di Nico riportato a Lesbo
Filippo Bianchini e il giovane Nico a Lesbo
Il sole tramonta sull’isola di Lesbo. Decine di migliaia di migranti si preparano a trascorrere l’ennesima notte di sogni agitati da paure e speranze. Nell’umanità dolente in cerca di un posto per dormire, da quattro giorni c’è di nuovo un ragazzino afghano con gli occhi scuri e lo sguardo perspicace. Ha da poco compiuto 17 anni e le sue iniziali sono N.A., ma i lettori di Avvenire lo conoscono come Nico (nome di fantasia a tutela della sua minore età), il protagonista della lettera pubblicata domenica 26 luglio, col titolo «Storia di Nico, storia nostra».
A 12 anni è partito da solo da Herat, nell’Afghanistan occidentale, col sogno di studiare in Europa e diventare medico. Ha baciato mamma e papà e i sette fratellini e sorelline, si è lasciato alle spalle la vallata del fiume Hari Rud e ha attraversato a piedi il confine con l’Iran, pagando trafficanti senza scrupoli. Giunto in Turchia, si è fermato per tre anni a Istanbul con altri ragazzini, lavorando per risparmiare i soldi per un posto su un barcone verso la Grecia. Infine, è approdato a Lesbo. Quella notte di un anno fa, la macchina burocratica della prima accoglienza ha trascritto (per noncuranza o volutamente, non è dato sapere) un errore che ora pesa come un macigno: incurante delle sue dichiarazioni e del corpo da adolescente, l’agente di turno lo ha registrato come maggiorenne. Il primo raggio di speranza è arrivato ad Atene, dove Nico è stato accolto dalla casa famiglia della Divina Provvidenza, aperta dalla Comunità Papa Giovanni XXIII.
La gestiscono Filippo e Fabiola Bianchini, toscani che oltre ai loro 5 figli accudiscono diversi ragazzi di varie nazioni. Nel caso di Nico è un’accoglienza 'informale', non un affido, perché non ha ancora i documenti necessari. Lì il ragazzino ha trascorso mesi felici, ha imparato la lingua e suonato la chitarra, iniziando un percorso di inserimento nella società. Ma a fine luglio, proprio mentre Avvenire pubblicava la toccante lettera dei signori Bianchini, carica di speranze per il futuro di Nico, è successo qualcosa di inatteso: quando il ragazzo si è presentato all’Ufficio richiedenti asilo ateniese per perfezionare la richiesta, dopo il colloquio gli è stato dato un ulteriore appuntamento, il 5 agosto a Lesbo, per una «integrazione della pratica». E a nulla è valso spiegare che avrebbe potuto presentarla ad Atene, perché minorenne (come dimostra una misurazione del polso, fatta eseguire privatamente a febbraio dalla sua nuova famiglia), perché allo sbarco le autorità l’avevano registrato come adulto. Così la situazione è diventata kafkiana: «Invece di ascoltarlo, i funzionari ateniesi gli hanno dato un post-it che lo invitava ad andare a Lesbo per tenere lì il colloquio. Lui non ci voleva andare, ma l’abbiamo convinto a rimanere nella legalità», raccontano Fabiola e Filippo. Alla fine, col cuore in gola come quando era partito bambino da Herat, Nico si è fatto 12 ore di traghetto ed è tornato a Lesbo.
Ma, appena arrivato, la seconda sconcertante 'sorpresa': «Gli hanno tolto il permesso provvisorio che aveva e gli hanno intimato di non lasciare l’isola, per cui ha dovuto dormire per strada. E non è neppure la cosa peggiore, potrebbe essere costretto ad andare a vivere in un campo o a ritornare clandestino », ragionano i coniugi Bianchini. Peraltro, il comportamento delle autorità avrebbe potuto essere più trasparente: «Nessuno ci aveva avvisato che sull’isola gli avrebbero tolto il permesso provvisorio». Il precipitare degli eventi ha convinto Filippo a raggiungere Nico, per stargli vicino e cercare qualcuno che li ospiti. Chi è stato nell’isola greca in questi anni, sa quale carnaio siano i campi profughi: sovraffollati, insicuri, con pochi servizi igienici e cibo scarso. A fine 2019, ancor prima dello spettro del Covid, lo scenario era già spaventoso, con 14mila profughi ammassati nella sola tendopoli di Moria, più altre 12mila persone costrette ad arrangiarsi per strada.
Rifugiati attendono l’identificazione ammassati nel campo per richiedenti asilo di Lesbo / Epa Filippo Bianchini e il giovane Nico a Lesbo - Epa
Una babele di esistenze sospese fra volontari e approfittatori, dove la differenza fra amma-larsi e sopravvivere possono farla un pasto caldo o una medicina. E Nico è stato riprecipitato in quel-l’orrore: «Al telefono mi domanda: perché io che avevo trovato una famiglia che mi accogliesse e che non costituisco più una spesa per il governo, sono costretto a tornare nei campi profughi? Ho persone che mi vogliono bene, perché mi vogliono mettere su una strada?». Inizialmente le autorità avevano fissato a ottobre l’appuntamento per ascoltarlo, ma dopo faticose trattative l’hanno anticipato alla prossima settimana. Nell’attesa, Filippo ha trovato da dormire presso una Ong, anche per proteggere il ragazzo «dalle incursioni degli estremisti di Alba Dorata», riferisce Fabiola, che «in più episodi sono intervenuti a picchiare i migranti accampati», tanto che perfino alcuni albergatori temono le loro ronde e preferiscono non ospitare richiedenti asilo. Rimasta ad Atene per gestire la casa famiglia, Fabiola è in pensiero: «Mi sento arrabbiata. Nico è solo un ragazzino, vittima del sistema.
E quanti altri saranno nelle sue condizioni? Come resisteranno all’esca della malavita, che li attira promettendo di dar loro da mangiare?». Per il giovanissimo afghano, il prossimo futuro sarà decisivo: a giorni si terrà il colloquio per la richiesta d’asilo. La speranza è che venga accolta. Ma se non lo fosse, Nico riceverebbe un foglio di via e diverrebbe clandestino, rischiando l’espulsione. Un’eventualità beffarda e in spregio delle convenzioni internazionali, che tutelano i minori. Ancora una volta, su Lesbo è sceso il manto scuro della notte. Sulle brande allestite dai volontari di una Ong, Nico si è addormentato accanto a Filippo, cercando di scacciare gli incubi, arrivati a minacciare il suo sogno di una vita migliore proprio quando potrebbe divenire realtà. L’amore che lo circonda fa da scudo all’angoscia: «Un anno fa, arrivato a Lesbo, ero solo e avevo paura», confida al telefono a Fabiola prima di prender sonno, «ora sono di nuovo qui, ma non ho paura perché non sono solo, ci siete voi».