Non violenza. La scelta dell’obiezione di coscienza, «Tutelare chi si oppone alle armi»
Obiettori di coscienza italiani e ucraini insieme, nell’ottobre scorso a Kiev, davanti alla statua di Gandhi
La vicenda di Vitaliy Alekseienko, l’obiettore di coscienza ucraino che lunedì prossimo comparirà davanti alla Corte d’Appello di Ivano-Frankivsk, ricorda molto da vicino quella di Giuseppe Gozzini, che esattamente sessant’anni fa, nel dicembre 1962, fu processato e condannato dal tribunale di Firenze per essersi rifiutato di indossare la divisa. Alekseienko, cristiano evangelicale, ha spiegato che le sue convinzioni religiose non gli consentono di arruolarsi ma è stato condannato lo stesso, in primo grado, a un anno di carcere. Gozzini fu invece il primo obiettore di coscienza cattolico italiano, la cui condanna creò un enorme caso mediatico nell’Italia degli anni ‘60, in cui l’obiezione era ancora considerato un reato militare.
All’epoca presero le sue difese il sindaco di Firenze di allora, Giorgio La Pira, e due preti toscani. Erano padre Ernesto Balducci, che fu a sua volta denunciato e condannato, e don Lorenzo Milani, che anni dopo avrebbe diffuso la sua famosa lettera aperta ai cappellani militari e poi il suo libro più noto, “L’obbedienza non è più una virtù”.
Il coraggioso gesto di Gozzini segnò uno spartiacque nella vicenda dell’obiezione di coscienza in Italia e innescò il dibattito culminato nella storica legge 772 del 1972, che concedeva il diritto all’obiezione di coscienza per “motivi morali, religiosi e filosofici”, istituendo il servizio civile sostitutivo. «La Chiesa italiana fu tra i principali promotori di quel percorso» ha ricordato due giorni fa il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, intervenendo a Roma al convegno della Caritas sui cinquant’anni dell’obiezione di coscienza in Italia.
«La guerra in Ucraina – ha poi aggiunto Zuppi - ci ripropone con urgenza una pace da costruire a partire dai giovani, nei quali va mantenuto vivo lo spirito dell’obiezione alla violenza in tutte le sue forme fisiche e digitali».
Oggi c’è un filo rosso speciale che unisce il movimento non violento italiano a quello russo e ucraino, una vicinanza concreta che si è manifestata anche nel corso dell’ultima Carovana per la pace della rete “Stop the War Now” arrivata nell’ottobre scorso a Kiev. Gli attivisti italiani continuano a fare pressione affinché l’Unione Europea apra le sue frontiere e garantisca uno status adeguato a tutte le persone di nazionalità ucraina, russa e bielorussa che obiettano alle forze armate e si rifiutano di andare a combattere. Come accadde negli anni ‘90, durante la guerra nei Balcani.
«Sia il diritto penale internazionale che le risoluzioni Ue prevedono esplicitamente la tutela di chi non vuole prestare il servizio militare» spiega Daniele Taurino, leader del movimento nonviolento italiano. «Ma dall’inizio della guerra in Ucraina Bruxelles non ha emanato direttive in tal senso e ha demandato tutto ai singoli Paesi membri, che non hanno voluto accordare lo status di rifugiato politico agli obiettori. La protezione umanitaria, invece, è garantita agli ucraini ma non ai russi. Dopo la mobilitazione parziale dei riservisti annunciata da Putin, decine di migliaia di persone si sono riversate lungo il confine della Russia per sottrarsi al reclutamento, cercando rifugio nei paesi limitrofi».
Quanto all’Ucraina, dopo l’inizio della guerra è stata introdotta la coscrizione obbligatoria per gli uomini in età adulta negando il diritto all’obiezione di coscienza. Da allora, secondo i dati resi noti dalla Procura generale di Kiev, sono iniziate indagini penali a carico di quasi mille obiettori di coscienza mentre la magistratura ha aperto oltre seimila fascicoli investigativi per il reato di diserzione.
L’Ong pacifista italiana “Un Ponte Per”, da tempo attiva in numerosi scenari bellici in tutto il mondo, ha organizzato una raccolta fondi allo scopo di sostenere le loro spese legali. Per chiedere all’Europa di garantire accoglienza e asilo ai disertori e agli obiettori di coscienza russi, bielorussi e ucraini è stata lanciata invece la campagna internazionale “Object War” (Obietta la guerra). Lo stesso appello – per il quale è in corso la raccolta firme - chiede anche di fare pressione sul governo di Kiev affinché garantisca il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare.