O fiducia o elezioni. Sul sentiero impervio della quasi-crisi di governo Silvio Berlusconi innesta con determinazione la marcia in avanti. E porta anche Umberto Bossi, nel vertice di ieri ad Arcore, sulla sua linea del muro contro muro, contraria a una crisi "pilotata". Il premier è sempre più convinto ormai che non ci sono alternative. Né rimpasti, né un "Berlusconi-bis": se sarà sfiduciato anche in una sola delle Camere (ovvero a Montecitorio, dov’è più probabile), per lui bisogna tornare alle urne. Al più presto, anche già a fine febbraio, se possibile. E in questa marcia non esclude di ricorrere al mezzo tv, con un messaggio per spiegare agli italiani cosa è successo dal suo punto di vista, per intestare direttamente a Gianfranco Fini la responsabilità della crisi. Il Cavaliere, forte del rinnovato patto di ferro con la sola Lega (che era più disposta invece a un’ultimissima mediazione, anche rispetto all’Udc), vuole tornare a votare sia per la Camera, sia per il Senato. L’ipotesi, avanzata domenica con una telefonata a un convegno del Pdl, di rinnovare soltanto la Camera era più che altro un diversivo, una provocazione. È una determinazione che sfocia nella rabbia verso i "traditori" di Fli: «Se ci portano alla campagna elettorale, si accorgeranno di cosa li aspetta», dice.Il presidente del Consiglio ha trascorso la giornata di ieri ad Arcore, in contatto telefonico con diversi dei suoi. Ma anche per chiamare, uno a uno, diversi esponenti finiani, in un nuovo sondaggio finalizzato a possibili recuperi di voti in Parlamento. Poi Berlusconi si è tuffato nella riunione con i tre coordinatori del Pdl, Bondi, La Russa e Verdini, mentre in contemporanea lo stato maggiore della Lega si riuniva (per due ore e mezza) nella sede di via Bellerio. Alle 19, infine, tutti nella villa di Arcore per il vertice generale. Dove la delegazione
lumbard si è presentata, oltre che con la storica triade Bossi (accompagnato dal figlio Renzo)-Maroni-Calderoli, pure con Cota, Giorgetti e Reguzzoni. Tutti a ragionare per altre due ore, a confrontarsi sui possibili scenari. Il presidente del Consiglio e i vertici di Pdl e Lega, tuttavia, sono convinti che non ci siano i numeri per consentire comunque l’esistenza di un governo tecnico o di transizione. Perché a Palazzo Madama, male che vada, Berlusconi pensa che non siano più di 2 o 3 i senatori (quelli più legati a Pisanu) a rischio di passaggio nell’altro schieramento. Troppo pochi per un altro governo. Quindi anche le opposizioni non dovrebbero avere alternative alle urne. E alla prova del voto Berlusconi è convinto di vincere anche questa volta: al Nord col Carroccio, al Meridione grazie all’alleanza stretta con il nuovo movimento di Gianfranco Micciché, Forza Sud.Sono state passate in rassegna le varie opzioni. Nel momento di difficoltà, Berlusconi è pronto a tirare fuori gli artigli. Di "manovre di Palazzo" non vuole sentir parlare. Si ipotizza anche una mobilitazione generale. Prima di dare l’
ok al progetto, però, vuole dare spazio alla diplomazia e attendere anche l’esito dell’incontro di oggi al Quirinale tra il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e i presidenti di Senato e Camera. Ma la linea è quella che Ignazio La Russa tracciava già a inizio pomeriggio: «Prima o poi si voterà. Non mettiamo limiti alla provvidenza...».