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Acnur. Nuovo naufragio, almeno 20 morti. «La tragedia delle donne in Libia»

Nello Scavo, inviato a Palermo mercoledì 21 luglio 2021

Da Tripoli notizie di nuove stragi: almeno 20 persone annegate. Un conteggio drammatico che si è ulteriormente aggravato nell’ultimo anno: sono infatti 4.071 le persone che, da giugno 2020 ad oggi hanno perso la vita così. La rotta più letale al mondo rimane quella del Mediterraneo centrale, fra Italia e Libia con 935 morti da inizio anno.

Un’altra strage in mare, con almeno 20 morti davanti alle coste libiche. Lo si è appreso nel silenzio delle autorità grazie alla denuncia dell’Oim, l’organizzazione Onu per i migranti. «Oltre 500 migranti sono stati intercettati nelle ultime 24 ore e riportati in Libia dove sono tutti imprigionati», riferisce Safa Msehli, portavoce dell’Organizzazione a Ginevra, precisando che «circa 20 persone sono annegate». «Le risposte inadeguate» alla situazione nel Mediterraneo «continuano ad avere conseguenze molto gravi dal punto di vista umano», denuncia la portavoce. Successivamente il ministero dell’Interno di Tripoli ha fatto sapere attraverso i social network che una motovedetta ha «salvato» 147 persone. Intercettati e subito mandati nei campi di prigionia. «Nei loro confronti sono stati presi provvedimenti giudiziari» ha spiegato sempre il ministero dell’Interno. Ma da Tripoli ci tengono anche a far sapere che l’intervento è stato compiuto nonostante «il piano elaborato per le vacanze» in occasione della festa del "sacrificio". Nel Canale di Sicilia al momento non ci sono navi umanitarie. Dall’inizio dell’anno ci sono state più di 800 vittime e oltre e quasi 1.000 in tutto il "Mare Nostrum".

Le cicatrici, gli stupri, gli aborti, i disabili sui barconi, lo scaricabarile tra Paesi Ue. Chiara Cardoletti, rappresentante per l’Italia e la Santa sede dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati non ci gira intorno: «Insieme a Unicef abbiamo svolto una visita di due giorni a Lampedusa. Purtroppo, abbiamo trovato molte conferme a una situazione che non manca di criticità».

Cominciamo dalle persone che avete incontrato.
I rifugiati e i migranti che arrivano dalla Libia hanno alle spalle un vissuto drammatico. Sbarcano molte donne incinte, in percentuale più elevata di quanto non avvenisse in passato, e molte di loro chiedono di poter interrompere la gravidanza.

Vi hanno spiegato le ragioni?
Si tratta di vittime di violenza sessuale nei centri di detenzione in Libia. Affrontano con profonda sofferenza la gravidanza. Per loro parlarne non è facile. Anche gli uomini, soprattutto ragazzi molto giovani, mostrano sui loro corpi i segni evidenti del loro passaggio nei centri di detenzione. Abbiamo potuto verificare le cicatrici delle frustate e di altre torture. Cresce anche il numero di minorenni non accompagnati e di donne vittime della tratta. Davanti a questi drammi il problema non è solo il come affrontare ciò che accade in Libia, ma anche come rispondere a queste criticità una volta che le persone sono arrivate da noi. Purtroppo proprio queste necessità scontano alcune mancanze nell’hotspot di Lampedusa.

Quali?
Nel complesso abbiamo potuto osservare dei miglioramenti e certo oggi l’hotspot, che si trova in una zona isolata, è gestito meglio di quanto non cadesse anche solo un anno fa. Ma restano in particolare due criticità: l’assistenza sanitaria e l’attenzione alle vittime della tratta. Grazie alla presenza di “Medici senza frontiere” alcune lacune sono mitigate, ma il servizio sanitario istituzionale non è ancora sufficiente e non è in grado di affrontare le situazioni più difficili, ad esempio decidendo tempestivamente i trasferimenti sulla terraferma, in strutture adeguate, per le vittime di abusi e le donne incinte. La risposta in questo senso è ancora da migliorare.

Oltre 43.390 persone morte, senza contare i dispersi, dal 1990 a oggi, nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte, via terra, dell’immigrazione verso l’Europa.





Cosa si dovrebbe fare per le vittime di tratta?
Manca un lavoro di screening specifico. Dallo scorso anno non è più presente l’Oim al momento dello sbarco. Speravamo che fosse stato previsto un servizio sostitutivo alla presenza degli operatori dell’Organizzazione Onu per le migrazioni, che sono in grado di individuare e seguire le vittime di tratta. Purtroppo oggi questa attività non viene svolta. Si tratta di persone, in larga maggioranza donne e ragazze, che hanno bisogno di un’assistenza specifica, che oggi non c’è. E che può essere un problema quando lasceranno l’hotspot, dato che il network dei trafficanti è presente in Europa.

Avete trovato anche minorenni non accompagnati?
Si, e siamo davanti a numeri in crescita. Nel complesso l’assistenza a ragazze e ragazzi è adeguata. Tuttavia ci sono difficoltà nel collocarli poi nei centri dedicati.

Nell’ultimo anno è cresciuta la rotta della Tunisia. Cosa avete osservato?
Ci sono tanti tunisini, che giungono attraverso una rotta specifica, diversa da quella libica ma anche in questo caso stiamo registrando l’aumento di persone vulnerabili, soprattutto migranti con gravi disabilità. È come se su ogni barcone fosse destinato un certo numero di posti a persone che sperano di trovare cure migliori in Europa: persone con problemi uditivi, invalidi, persone con amputazioni e altre gravi disabilità.

Quali suggerimenti rivolgerete alle autorità italiane ed europee?
Da tempo esortiamo a trovare risposte tempestive per salvare le persone in mare. Servono operazioni di soccorso concertate a livello di Unione Europea. Ma chiederemo di nuovo che vi siano risposte strutturate nell’affrontare le necessità che abbiamo raccolto nell’hotspot di Lampedusa. Per quanto la struttura sia ora gestita meglio, ci sono lacune specialmente per tutta la parte medica. Nel complesso chiediamo alle autorità di migliorare l’attenzione specialmente per quanto riguarda le donne che hanno subito abusi, le vittime di tortura e tratta e i minorenni non accompagnati.