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Il nuovo direttore della Caritas. Don Pagniello: «Ripartire dai giovani e dai poveri»

Paolo Lambruschi lunedì 17 gennaio 2022

Don Marco Pagniello

La pandemia ha portato nuove sfide, ma apre anche nuovi orizzonti e opportunità per la Caritas in Italia. Don Marco Pagniello, pescarese, 50 anni, per oltre un decennio direttore della Caritas diocesana di Pescara e dal 2011 al 2016 delegato regionale Caritas per Abruzzo e Molise, è stato nominato un mese fa successore di don Francesco Soddu – oggi vescovo di Terni-Narni-Amelia – alla guida di Caritas italiana. Don Marco, scout Agesci, è il primo direttore nazionale ad aver prestato servizio civile come obiettore di coscienza. Inizia il suo mandato mentre la nuova ondata di Covid rischia di accrescere ancora una volta la povertà nel Paese.

Quali priorità vede in questo momento?
Anzitutto saper leggere questo tempo di fatica e incertezza, di precarietà e di paura. Che, però, deve essere anche un momento in cui può nascere qualcosa di nuovo. Anche in questa situazione il buon Dio sta parlando ai suoi figli e quindi tocca a noi capire quali sono i nuovi germogli. Mi preoccupa il disagio esistenziale avvertito dai giovani che si sentono derubati di una parte importante della loro vita. Dovremmo aiutarli a cogliere le opportunità ad esempio della riscoperta delle relazioni intergenerazionali. Un’altra povertà che mi fa paura è la denatalità e le preoccupazioni che rischiano di soffocare i progetti di vita di tante famiglie. Noi siamo pronti a denunciare e ad accompagnare, consapevoli del fatto che le famiglie restano il tessuto connettivo della società e servono politiche in grado di dar loro sempre più attenzione e un sostegno stabile, per restituire speranza e futuro.

Come si possono affrontare le nuove povertà dell’era Covid?
Più che di nuove povertà, parlerei di volti nuovi di poveri. La pandemia è stata acceleratore ed evidenziatore delle fragilità esistenti. Chi campava solo con lavori stagionali o precari è uscito dal buio e ha accelerato la propria caduta quando non ha più potuto pagare bollette, affitto o il cibo. Ma il problema, come ha detto pochi giorni fa il Papa, è la mancanza di lavoro dignitoso. Il tessuto delle Caritas e delle tante realtà di Terzo settore e volontariato sui territori che ha lavorato con il pubblico si è rivelato forte anche con la pandemia. E da questo dobbiamo ripartire.


«Un’altra povertà che mi fa paura è la denatalità e le preoccupazioni
che rischiano di soffocare i progetti di vita di tante famiglie»

Poveri, Vangelo, creatività. Come mettere in pratica le tre strade indicate da papa Francesco all’udienza per i 50 anni della Caritas italiana lo scorso 26 giugno?
Parlandoci di creatività, il Papa ha indicato le vie per riflettere su tutto quello che il nostro servizio quotidiano in 50 anni ci ha consegnato. Dormitori, mense, servizi, momenti di formazione e di animazione vanno rivisti chiedendoci se quell’opera sia creativa rispetto al tempo che viviamo. Chiediamoci se stiamo custodendo lo stile evangelico, se leggiamo la povertà con gli occhi dei poveri e facciamo partire nuove opere dalle tre vie che papa Francesco ha indicato in un momento particolare della Chiesa italiana, il cammino sinodale.

La questione immigrazione resta latente in era pandemica. Si possono fare passi avanti?
Andrebbe anzitutto raccontata diversamente. Parto per esempio dalla Carta di Roma dei giornalisti e mi domando quanto il giornalismo potrebbe fare per raccontare in modo positivo e obiettivo l’immigrazione, magari parlando anche dell’emigrazione italiana. Ad esempio tutte le realtà del mondo del lavoro potrebbero raccontare dal loro punto di vista a cosa serve l’immigrazione, dire che abbiamo bisogno di queste persone e delle loro famiglie. Non lasciamo solo il Papa a raccontare questo fenomeno, non è questione di buonismo, ma di obiettività. La politica metta tutte le parti sociali attorno a un tavolo, le ascolti e poi si ragioni tutti insieme per arrivare alla revisione della legge sull’immigrazione del 2001.

Cosa può fare la Caritas per invertire il fenomeno dello spopolamento delle aree interne?
In molti piccoli centri non c’è più il medico e non ci sono i servizi essenziali. Però il parroco c’è anche se magari va tre volte alla settimana. Quindi dobbiamo riqualificare la nostra presenza di Chiesa vivendola diversamente, non solo con la denuncia. Dobbiamo costruire un orizzonte diverso cogliendo le opportunità per uscire dalle secche dell’assistenzialismo. La Caritas intende lanciare una strategia per il Sud con le diocesi per mettere le nostre competenze a servizio di chi governa i territori e aiutarli a spendere in maniera efficace i soldi del Pnrr per sviluppare il Mezzogiorno e invogliare i giovani a restare.

A proposito di giovani si festeggiano i 50 anni del servizio civile nel 2022. Che spunti di riflessione offre la ricorrenza?Anch’io ho svolto il servizio civile in Caritas come obiettore e da lì sono nate molte scelte di vita. Oggi bisogna rileggere quest’esperienza liberi da ideologie e pregiudizi. Secondo me il servizio civile sta diventando un’altra cosa, offre un minimo di reddito facendo qualcosa di buono ma i giovani vanno stimolati a dare il loro contributo al paese, il servizio civile andrebbe riformato e riportato ai valori iniziali senza abbassare la qualità delle progettazioni.

Dopo la Settimana sociale di Taranto quale contributo possono dare le Caritas alla custodia del Creato?
Partendo dallo lo slogan per cui tutto è connesso credo che la Caritas possa fare molta formazione ai nuovi stili di vita. In concreto, nei servizi dobbiamo essere attenti eliminando ad esempio la plastica. E imparare dai poveri cosa è essenziale.

Quali opportunità vede in questo tempo?
La bellezza della prossimità che fa bene a tutti. Poi la revisione dei nostri stili di vita perché la pandemia ci sta spingendo ad essere più creativi nelle relazioni. Tanto di quello che avevamo era forse superfluo, stiamo tornando all’essenziale, al contatto con noi stessi. Come diceva Sant’Agostino alla fine Dio è dentro di noi.