Campania. Termovalorizzatori e discariche, ecco cosa manca sul fronte rifiuti
L'inceneritore di Acerra (Ansa)
«Il principio di autosufficienza così auspicato in ambito europeo è un obiettivo che la regione Campania non è ancora in grado di raggiungere». E ancora. «Ci troviamo in una situazione difficile poiché il ciclo ordinario continua ad essere carente soprattutto dal punto di vista impiantistico». Lo scriveva otto mesi fa la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, nella Relazione sulla Campania approvata quasi all’unanimità, con l’unica astensione della deputata M5s Paola Nugnes.
«Quello che manca in Campania – ci conferma Chiara Braga, deputato Pd, ex presidente della commissione e relatrice del documento assieme a Renata Polverini di Fi – è una dotazione impiantistica adeguata che accompagni i passi in avanti nelle politiche di gestione dei rifiuti. Che ci sia un problema di legalità nella gestione dei rifiuti in Campania è assodato, ma la presenza della camorra è legata a dinamiche specifiche. Mischiare tutto è il modo migliore per fare confusione. Se l’impiantistica funzionasse ci sarebbero meno rischi di infiltrazione. E questo vale per tutto il Paese».
E su questo lancia l’allarme Alessandro Bratti, anche lui ex presidente della commissione e ora direttore generale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). «L’Italia è in crisi di impianti da 40 anni. Poi c’è da discutere quale tipo di impianti e su che tipo di filosofia ci si vuole indirizzare. Però il ciclo dei rifiuti fa chiuso. Non c’è dubbio che oggi con le nuove direttive il mercato si sposta su un impiantistica più basata su riciclo e recupero, ma gli impianti vanno fatti. Però bisogna affrontare anche l’ultimo pezzo, quello dello smaltimento, perché una parte comunque va smaltita. Ma, una volta fatto il massimo di recupero, l’impiantistica attuale in Italia è sufficiente per gestire la parte che deve per forza essere messa in discarica o incenerita? O c’è bisogno di qualche impianto ulteriore? L’economia circolare non è una poesia ma è un sistema industriale fatto di impianti, di recupero, trattamento e smaltimento. Se non si costruiscono non funziona niente».
Ma torniamo alla Campania. La produzione dei rifiuti supera i 2,5 milioni di tonnellate, un dato costante dal 2014. La raccolta differenziata raggiunge quasi il 52%, un buon risultato anche se lontano dal 65% previsto dalla normativa Ue. Ma i problemi maggiori riguardano proprio gli impianti, come emerge sia dalla Relazione della Commissione che dal Rapporto rifiuti urbani dell’Ispra.
Ad esempio delle 708mila tonnellate di umido raccolto solo 67mila sono trattate in regione per produrre compost e biogas. Così la Campania «destina consistenti quote di rifiuti ad impianti situati in altre regioni». E il resto? 725mila tonnellate sono state avviate ad incenerimento nell’impianto di Acerra, l’unico in regione; 101mila sono finite nelle discariche regionali; 42mila sono state avviate ad impianti di recupero di materia e di depurazione (per il trattamento dei percolati) sempre in Campania. Il quantitativo di rifiuti destinato al di fuori della regione è stato di 326.800 tonnellate: 239.200 tonnellate avviate ad impianti di altre regioni; 87.600 trasportate al di fuori del territorio nazionale (Austria e Olanda).
Dunque un unico termovalorizzatore, quello di Acerra, gestito dalla A2A. Secondo il Rapporto rifiuti urbani dell’Ispra, dal confronto dei quantitativi di rifiuti urbani inceneriti e quelli prodotti nel 2016, «si rileva che l’incidenza percentuale più elevata si registra in Molise (72%); ciò è da attribuirsi prevalentemente alle quote di rifiuti urbani di provenienza extraregionale trattati in tale regione. Seguono la Lombardia (39%) e l’Emilia Romagna (33%) dove incidono anche le quote importate dalle altre regioni. Valori percentuali superiori al 20% si rilevano per Campania (28), Trentino Alto Adige (22), Friuli Venezia Giulia (22) e Piemonte (21).
Ma non basta. «C’è un problema impiantistico che rischia fra un po’ di paralizzare il Paese anche perché il mercato europeo è saturo – denuncia ancora Bratti –. Mentre prima c’era uno sbocco verso questi Paesi, ora non ce la fanno nemmeno loro perché il mercato è stato saturato dagli inglesi e anche perché pure in questi Paesi si tende a limitare molto l’utilizzo degli inceneritori. È da quando negli anni ’80 portavamo i nostri rifiuti in Somalia e Sudamerica che abbiamo problemi impiantistici. Negli anni 90 hanno cominciato ad andare verso il Sud Italia. Adesso siamo quasi alla crisi».
le conseguenze sono già evidenti, come aveva denunciato la commissione nella Relazione sugli incendi degli impianti di rifiuti. «Le situazioni di emergenza e di non chiusura corretta del ciclo dei rifiuti generano spazi grigi in cui l’illegalità va a infilarsi – ricorda Chiara Braga, relatrice anche di quel documento –. Lo vediamo con gli incendi degli impianti al Nord. Si è invertito il flusso dei rifiuti, non più quello dal Nord a Sud che stava dietro alla vicenda "terra dei fuochi", ma dal Sud al Nord perché al Sud non ci sono impianti. Ma ora quelli del Nord sono pieni e gli incendi sono una delle conseguenze di questa situazione».