Caso Riace. Gestione dei migranti, nuove accuse per il sindaco Lucano
Il sindaco sospeso di Riace, Domenico Lucano
Qualcosa s’è inceppato nel meccanismo d’accoglienza e integrazione creato da Mimmo Lucano a Riace. La procura di Locri è convinta ci sia più d’un neo sul bel volto dell’ospitalità delle mani tese e delle porte aperte che aveva risuscitato un borgo moribondo. Giovedì sera la procura di Locri ha notificato a Mimmo ’u curdu e altre nove persone un ulteriore avviso di conclusione delle indagini preliminari contestando i reati di truffa e falso ideologico sempre in relazione alla gestione dei migranti. Il provvedimento è giunto poche ore dopo il rinvio a giudizio deciso dal gup di Locri per il sessantunenne tre volte primo cittadino e altri ventisei indagati (tra cui la sua compagna straniera) nell’ambito dell’inchiesta "Xenia".
In questa prima indagine Lucano, ancora sottoposto al divieto di dimora a Riace, e le altre persone chiamate al processo dovranno difendersi, a vario titolo, dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio. Le verifiche dalla procura di Locri sono incentrate sulla gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria al Comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Già dall’ottobre del 2017 Lucano era iscritto nel registro degli indagati. Secondo gli inquirenti sono emerse irregolarità commesse dal primo cittadino nell’organizzare "matrimoni di convenienza" tra cittadini del posto e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano. Lucano, che respinge ogni contestazione, e la sua compagna, avrebbero architettato espedienti per aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia.
Il dibattimento nei confronti dei ventisette imputati comincerà l’11 giugno dinanzi al Tribunale di Locri.
Nel mirino del secondo filone investigativo ora giunto al capolinea delle indagini preliminari, ancora una volta l’utilizzo dei fondi per l’accoglienza. In particolare, è scritto nel capo di imputazione, a Lucano si contesta «di avere indotto in errore il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Reggio Calabria ricorrendo all’artificio di predisporre una falsa attestazione in cui veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igienico-sanitarie. Laddove così non era, essendo quegli appartamenti privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, documenti indispensabili per l’utilizzo sopra specificato e per come richiesto dal manuale operativo Sprar e dalle convenzioni stipulate tra il Comune di Riace e la Prefettura di Reggio Calabria».
Lucano non si sta: «Accuse assurde. So di essere nel giusto. Seguo un ideale di giustizia e umanità e posso andare avanti all’infinito, nonostante il calvario che sto vivendo. Sono solo. La verità verrà fuori, io non ho paura».
Inoltre per un anno ancora il primo cittadino del paesino noto nel mondo per il ritrovamento dei Bronzi non potrà farvi rientro per effetto del divieto di dimora disposto dal Tribunale della libertà di Reggio e prolungato giovedì dal rinvio a giudizio. Revocando gli arresti domiciliari decisi lo scorso 2 ottobre dal gip di Locri nei confronti di Mimmo Lucano, due settimane dopo il Tribunale della libertà aveva ordinato il divieto di dimora per sei mesi a Riace. Decisione che a febbraio era stata revocata dalla Cassazione che nelle motivazioni aveva smontato le accuse su matrimoni combinati e affidamento irregolare degli appalti per i rifiuti.