Attualità

IL PROGETTO A NOVARA. Vittime del racket Futuro da ricucire

Selvaggia Bovani mercoledì 30 ottobre 2013
Un laboratorio di taglio e cucito per le donne dell’ex villaggio Tav. Siamo alla periferia di Novara, in via Alberto da Giussano, dove un tempo, in lunghe file di container, dormivano gli operai addetti alla realizzazione dell’alta velocità. Ora che i lavori sono ultimati, il Comune di Novara ha deciso di trasformare quel piccolo villaggio in un centro di accoglienza che offre ospitalità a persone singole e a nuclei familiari con figli minori, in una situazione di emergenza abitativa. A oggi sono oltre 400 le persone che vi abitano, per la maggioranza extracomunitarie e tutte con una storia triste alle spalle. Chi è semplicemente immigrato, chi è stato vittima di qualche tratta, come alcune giovani donne, vittime del racket della prostituzione. Abitano tutti lì, uno a fianco all’altro, nelle file di container, tutte uguali, riconoscibili solo dal piccolo numero civico appeso sulla facciata. Tra altrettanti file di antenne paraboliche piantate nel giardinetto che separa i container, tra i pochi alberi e l’immancabile parcheggio. Nient’altro. Il centro è dato in gestione alla Cooperativa “Emmaus”, che fa riferimento alla Caritas diocesana e proprio attraverso questa cooperativa, per il secondo anno consecutivo, è stato possibile offrire, tra le altre opportunità, un corso di taglio e cucito a livello artigianale denominato “Cuciamoci il futuro” di cui è artefice il Cenovol, il Centro Novarese di Volontariato con presidente Gianni Signorino, che collabora con il Centro di consulenza Familiare, le parrocchie di Novara e dell’hinterland. L’obiettivo principale è fornire alle donne (tutte immigrate) competenze di taglio e cucito a livello artigianale. Una possibilità in più di trovare lavoro. Fondamentali sono le donazioni - da parte di chiunque - di stoffe, articoli di merceria, fili per cucito, pizzi, e tutto il materiale che, con molta fantasia e creatività, trova una seconda vita, concedendo a queste donne di crearsene, di vita, una loro. La “maestra” è Marilena da Silva, brasiliana in Italia da più di 20 anni. «Per queste donne – spiega Marilena – si tratta di un’occasione molto importante. Ci vediamo due volte a settimana, poi il venerdì possono venire qui per lavorare da sole, magari per rammendare delle lenzuola, o per sistemare i pantaloni del marito o dei figli. Molte di loro non hanno la possibilità di uscire dal villaggio Tav, perché non ci sono soldi per i mezzi pubblici o perché i mariti non vogliono che escano di casa. Queste ore di laboratorio sono quindi un momento di aggregazione molto importante. Ognuna, poi, porta un po’ della propria cultura e si impara a convivere. Poi c’è il discorso del lavoro: un domani, quando magari lasceranno questo villaggio, potranno decidere di intraprendere da sole questa attività». Un progetto che ha dimostrato la sua validità proprio con i numeri: alla seconda edizione le candidate erano superiori alla disponibilità dei posti, tanto che ora qualcuna dovrà aspettare il prossimo anno per essere inserita in questo progetto. Nel laboratorio si realizzano vestiti, lenzuola, ma anche borse, fermaporta, portachiavi, porta documenti e molto altro. «La fantasia non ha limiti – conclude da Silva – abbiamo creato delle borse riutilizzando le buste del caffè. Basta avere un’idea e noi la traduciamo in un oggetto vero e proprio».